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Dischi fissi: evoluzione lenta, ma costante

Giorgio Panzeri | 18 Dicembre 2009

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Nove generazioni di hard disk a confronto: dai primi Sata ai moderni Ssd. E le prestazioni impattano sull’intero sistema molto […]

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Nove generazioni di hard disk a confronto: dai primi Sata ai moderni Ssd. E le prestazioni impattano sull’intero sistema molto più di quello che pensiate. In pratica, per mettere il turbo al proprio desktop, spesso basta sostituire il disco di sistema.

ICON_EDICOLAI moderni personal computer rappresentano probabilmente la massima espressione della tecnologia elettronica oggi sul mercato. La maggior parte dei componenti interni sono infatti prodotti utilizzando tecniche avanzatissime, processi produttivi su scala nanometrica e alcune delle conoscenze fisiche più avanzate che l’umanità  è in grado di padroneggiare. Processore, memoria, chip grafico e altri componenti, utilizzando tutti i progressi nella microelettronica che si sono susseguiti negli ultimi 10 anni, hanno raggiunto un livello di complessità  notevolmente superiore ai modelli che ritenevamo avanzatissimi all’inizio del decennio. Un elemento però non si è evoluto di pari passo con gli altri, diventando sempre più spesso il vero collo di bottiglia dell’intero sistema: il disco rigido. Il motivo di questa mancata evoluzione prestazionale è presto detto: il disco rigido segue infatti le leggi della meccanica, utilizzando dei piatti magnetici rotanti con una testina di lettura/scrittura che vi scivola sopra.
Negli anni anche queste tecnologie sono migliorate, ma in misura minore rispetto a quanto visto con i componenti elettronici. Paragonati a dischi di quattro o cinque anni fa i modelli attuali sono sì più veloci, ma non certo decine (o centinaia) di volte come accade invece per le schede grafiche. Da tenere in seria considerazione anche il fatto che la percezione di invecchiamento del disco rigido è inferiore a quella degli altri componenti; un’unità  da 250 Gbyte di 5 anni fa è ritenuta ancora piuttosto valida, discorso impossibile da fare per una scheda grafica dello stesso periodo. I miglioramenti visti ultimamente nella tecnologia dei dischi magnetici si sono concentrati sull’incremento della densità  dei dati, rendendo dispositivi di pari ingombro fisico nettamente più capienti e con velocità  di trasferimento sequenziali dei dati molto più elevate rispetto al passato. La latenza di accesso però, limitata dallo spostamento meccanico della testina sulla superficie del disco, è stata migliorata solo di poco sui prodotti più recenti.

Il punto centrale del discorso è che il divario prestazionale tra i componenti elettronici e quelli meccanici è costantemente aumentato negli ultimi 5 anni. Logica conclusione è che, per sfruttare appieno i restanti componenti hardware utilizzati è perlomeno necessario utilizzare un disco piuttosto recente, per evitare che un modello ormai obsoleto limiti le prestazioni di tutti gli altri. Molti dischi di sistema presenti nei personal computer domestici hanno ormai più di 3 anni di vita e, nonostante funzionino ancora abbastanza bene, hanno prestazioni davvero molto limitate. Cambiare uno di quei dischi con uno più recente, oppure con un moderno Ssd, porta a una modifica radicale del comportamento del sistema. Nella maggior parte dei casi il cambio di un vecchio disco con un modello nuovo di zecca è uno dei migliori aggiornamenti possibili per il sistema. Dischi più recenti hanno infatti latenze inferiori, velocità  di trasferimento più elevate e, ovviamente, una capacità  molto superiore. Questi elementi portano a modificare la reattività  del sistema, arrivando ad esempio anche a dimezzare il tempo di avvio del sistema operativo. (…)

[Estratto dall’articolo pubblicato sul numero 226, in edicola dal 23 dicembre]