Ferve il dibattito in rete attorno all’ultimo libro di Jaron Lanier, pioniere dell’on line e della realtà virtuale nei primi anni 80 e 90, che lancia l’accusa: il Web 2.0 ha appiattito Internet rendendola un gran calderone in cui tutti possono esprimere il proprio pensiero e rendere gli altri partecipi della propria vita on line, in nome di una collettività virtuale. Ma tutto ciò ha snaturato la qualità delle informazioni nel web appiattito gli individui a tante piccole iconcine su Facebook e Twitter.
Il libro di Jaron Lanier, “You Are not a Gadget”, in uscita nei prossimi giorni negli Stati Uniti, è già un caso letterario e oggi il Wall Street Journal ospita un articolo dell’autore, dove si può leggere una sintesi del suo pensiero.
Il libro è un grido di allarme contro l’appiattimento e il livellamento del sapere, provocato sia dal corto circuito dei motori di ricerca: Google, Yahoo! Microsoft che offrono i link sempre agli stessi risultati, predefinendo in qualche modo la nostra conoscenza, sia da strumenti come Wikipaedia, costruiti dagli utenti della rete e aperti a tutti, ma ormai sfuggiti al controllo, con voci che vengono continuamente modificate, e autori poco monitorati.
Lo stesso Google Wave – che secondo Lanier rappresenta l’apoteosi del collettivismo stile web 2.0 – rischia di abbattere anche l’ultimo confine, quello della privacy del pensiero, rendendo le nostre conversazioni pubbliche nel momento stesso in cui le scriviamo.
Insomma una levata di scudi che arriva dalla persona che ha anticipato e in qualche modo precorso il ruolo che i computer avrebbero avuto nella vita dell’uomo, e che oggi così commenta: “I nostri sogni si sono avverati solo in parte. E’ vero che milioni di persone oggi contribuiscono alla crescita di Internet , invece di starsene passivi davanti alla televisione, ma continua Lanier, abbiamo commesso l’errore di lasciare che tali contributi non venissero retribuiti e soprattutto restassero anonimi, e questo ha privato le persone della loro dignità .
“Quando chiunque collabora a qualsiasi cosa, si genera un risultato mediocre e poco interessante, non certo un’innovazione”. Se si vuole preservare la creatività e l’eccellenza occorre mettere dei confini, – incalza Jaron Lanier – non è detto che tutto ciò che è frutto della collettività sia il meglio”. Non voglio una generazione di giovani che crescano aggregati da un social network, se pur benevolo, ma una generazione di individui, con una loro volontà e con un proprio spirito competitivo, conclude l’autore.
Il messaggio non è tardato ad arrivare e già sui principali quotidiani nazionali fervono i commenti; l’articolo di Gianni Riotta sul Sole 24 Ore di ieri ha scatenato il dibattito, ripreso oggi anche da Repubblica sul blog di Zambardino.
A voi lettori il compito di proseguirlo.