Marco, un nostro lettore che lavora in una società che assembla computer mi invia alcune considerazioni sull’equo compenso Siae (che ho trattato nell’editoriale pubblicato sul numero di marzo di PC Professionale) molto importanti perché delineano perfettamente il problema che la sua applicazione sta determinando per le piccole realtà produttive nazionali.
“Riprendendo liberamente le parole dal titolo del suo articolo nel numero di PC Professionale 228 (marzo 2010) a proposito della recente estensione dell’equo compenso, gradirei sottoporre alla sua attenzione anche i problemi economici che tale Legge causa ad alcuni operatori IT.
Lavoro in una ditta che, tra le altre attività , ha anche quella di assemblaggio di personal computer e derivati e che, come tale, acquista in Italia componentistica varia, tra cui memorie di massa come hard disk, masterizzatori etc. ora chiaramente soggetti al nuovo contributo Siae.
Assieme al titolare dell’azienda dove lavoro ci siamo resi conto di una assurda disparità di trattamento che tale Legge comporta; leggendo infatti il testo del Decreto, articolo 2, è possibile accorgersi come la misura del compenso sia calcolata anche in base al tipo di dispositivo in cui è integrata la memoria di massa (oltre che dalla sua capacità ) e che, nel caso di computer, comma Y), esso sia di euro 2,40 (1,90 nel caso il pc sia privo di masterizzatore). Ciò rassicura senza dubbio tutte quelle aziende che a livello internazionale importano da noi il prodotto finito (pc completo di memorie di massa) ma nulla ha a che fare con chi, come noi, acquista i singoli componenti per poi assemblarli; in questo caso, infatti,la classificazione dell’uso della memoria sembra cadere nel comma X) dello stesso articolo, con un ammontare massimo di ben 14,49 euro per dischi fino a 400 Gb, cifra destinata anche ad aumentare a partire dal secondo anno di vigenza delle disposizioni.
E tutto questo parlando solo di hard disk!
Questo stato di cose genera, a nostro parere, proprio una concorrenza sleale “a prova di Legge” che penalizza i piccoli imprenditori a favore delle grandi aziende le quali, avendo una minore incidenza dei costi, potranno proporre i loro prodotti ad un prezzo notevolmente inferiore (ad una nostra stima con un prodotto “tipo” abbiamo calcolato una differenza di almeno 30 euro).
Abbiamo fatto presente tutto questo alla Siae della nostra città , che ha riconosciuto il problema e ci ha rimandati alla sede della regione, che ha riconosciuto il problema e ci ha messo in contatto con la sede generale, che semplicemente ha riconosciuto il problema (la scala gerarchica evidentemente era finita). Abbiamo anche contattato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (nessuna notizia per ora, ma almeno non ci sono state gerarchie da scalare).
…e intanto i nostri fornitori hanno già cominciato a ritoccare listini di alcuni prodotti…
Leggendo allora le opinioni che un giornale autorevole come il vostro ha espresso in proposito, desideriamo semplicemente estendere la conoscenza di questo problema a tutti coloro che sono interessati, nella speranza che dalla condivisione nasca una soluzione ragionevole che non penalizzi solo alcuni perchè, e qui riprendo ancora le parole del suo articolo, “ciò che si contesta non è l’equo compenso ma il metodo di applicazione dello stesso, che ha fatto morire un settore prospero in Italia“.
Ha ben ragione Marco. In un settore come quello dell’informatica, dove i margini sono bassissimi la differenza di alcune decine di euro per un singolo componente può mettere fuori causa un’azienda. Può rendere i prezzi dei suoi prodotti “fuori mercato”. E invece gli assemblatori locali sarebbero da tutelare, perché sono quelli che meglio possono rispondere alle esigenze delle piccole imprese (non sono ancora il tessuto produttivo nazionale?).