Il cloud computing fornisce molti vantaggi, ma l’offerta sta diventando sin troppo variegata.
Non so se ve ne siete accorti, ma è iniziata la grande battaglia per la conquista della nuvola. Si, proprio del cloud, per i servizi dedicati agli utenti finali e alle piccole imprese, anche se la fase Saas (Software as a service) è ancora lontana. Comunque, sino a poco tempo fa se volevate archiviare nella nuvola i vostri documenti, sincronizzandoli tra vari computer e condividendoli con altre persone, avevate a disposizione solo i servizi di alcune aziende specializzate, non grandi brand, che sono diventate famose per qualità dell’offerta base gratuita. Servizi in grado comunque di soddisfare le esigenze della maggioranza degli utenti. Parlo in particolare di Dropbox e di SugarSync. Ma le cose cambiano in fretta. La prima grande società a lanciare il sasso nello stagno è stata Microsoft, che nell’offerta Live ha aggiunto SkyDrive, con 7 Gbyte di spazio gratuito a disposizione di tutti (anzi, chi ha partecipato alla beta del servizio ha a disposizione ben 25 Gbyte di spazio sulla nuvola). Poi è arrivato Google, che a fianco dei suoi servizi Web ha lanciato Google Drive, e infine Amazon, con il suo Cloud Drive.
E Apple? Con il lancio di Lion (Os X 10.7) anche Apple ha guardato alla nuvola, introducendo iCloud. Anch’esso di base, quindi senza pagar nulla, offre 5 Gbyte di spazio per la sincronizzazione di calendario, agenda, mail, bookmark, foto e documenti. E backup online, che però è da sconsigliare perché è in grado di divorare i 5 Gbyte con il solo backup parziale di un iPhone o un iPad. Il cloud di Apple però ha grosse limitazioni rispetto a quello dei concorrenti. Innanzitutto è poco trasparente e non prevede la sincronizzazione con una cartella locale. E, ancor più grave, non è disponibile con Snow Leopard (ma su Windows sì). Infine, per la parte mobile, mentre tutti i concorrenti hanno le app per iPhone, iPad e per gli smartphone e i tablet Android (molti hanno anche il client per Windows Phone 7), Apple ha solo l’applicazione per i suoi prodotti, che devono anche essere aggiornati all’ultima versione di iOs, la 5. Quindi, vista l’offerta dei concorrenti sicuramente iCloud parte svantaggiato. Ma come al solito Apple stupisce. Intorno ai primi di maggio ha lanciato il primo servizio cloud per la musica: iTunes Match. Diciamo subito che il limite è tutto nel nome stesso del servizio: per poterlo usare dovete aver installato iTunes (su Mac o su Pc è indifferente) o avere uno smartphone o un tablet compatibile con iTunes.
Il secondo punto debole è che si tratta di un servizio a pagamento: poco meno di 25 euro all’anno. Tanti? Secondo me no, se si considera cosa permette di fare. Dopo che avete aderito al servizio iTunes analizza la vostra biblioteca musicale per stabilire quali i brani sono già presenti sullo Store e quali invece, per diritti o a causa di file taggati male, dovrà uploadare sullo spazio Web che vi avrà riservato. L’upload riguarda solo i file che non sono presenti nello store di iTunes. Per tutti gli altri è come se voi li aveste acquistati. Il limite del servizio è di 25.000 tracce (non so quanto sia grande la vostra libreria musicale, ma in assoluto sono tantissime).
Accenno ad alcune caratteristiche del servizio che mi hanno colpito e che fanno percepire cosa si potrà ottenere con il cloud computing. Innanzitutto se avete file con audio di basa qualità , dopo aver fatto la sincronizzazione se sono su iTunes Store potrete cancellarli dal computer locale e ri-scaricarli dal cloud in formato Aac, in alta qualità . Inoltre, potrete avere la stessa biblioteca musicale su dieci computer diversi (Mac o Pc non importa, basta che abbiano iTunes con il vostro account) per sentire la vostra musica in streaming oppure scaricare tutti i brani (o quelli selezionati) in locale. Ma non solo. Se avete una libreria abbastanza grande e non replicabile totalmente su il vostro iPhone, iPad o iPod Touch, potrete attivare la funzione Match e sentire in streaming i brani che non avete archiviato per ragioni di spazio.
Enzo Mazza, Presidente della Federazione Industria Musicale Italiana, in un’intervista su webnews.it afferma poi che il pagamento della royalty a Apple “è una sorta di scudo musicale che consente di riportare alla luce legalmente, e per una cifra molto contenuta, un archivio di file spesso anche di dubbia provenienza”. E vi pare poco?