Come saranno i computer del futuro? A questa domanda, potrebbe giungere una risposta molto interessante dalla startup californiana Koniku, che si occupa di sperimentare delle alternative per lo sviluppo dei chip: non soltanto il buon vecchio silicio, quindi, bensì una soluzione ibrida, in grado di associare a materiali inorganici anche delle cellule cerebrali attive, ottenute dalla coltura in laboratorio e rese capaci di comunicare tra loro e il silicio
A considerare questa premessa, verrebbe da pensare che i chip della Cyberdyne Systems Corporation (vi ricordate della fabbrica in cui si realizzavano i Terminator?) siano al confronto roba vecchia e superarata: anche perché l’utilizzo di materia viva, permetterebbe di superare sicuramente la legge di Moore (già messa in discussione da un nostro precedente post, dedicato alla miniaturizzazione dei processori) e i limiti degli elettroni.
Utilizzando invece i neuroni – le cui dimensioni si possono tranquillamente considerare infinitesimali, considerando che nello spazio di un granello di sabbia se ne trovano centomila – si potrebbero ottenere una maggior stabilità rispetto agli elettroni e, soprattutto, i consumi energetici sarebbero molto più contenuti, se si considera che un intero cervello umano avrebbe un assorbimento di corrente quantificabile in circa 10 watt.
Attraverso lo sviluppo dei chip ibridi, del resto, i computer sarebbero in grado di interagire in maniera più “naturale” con l’ambiente, utilizzando percezioni sensoriali anziché complesse istruzioni informatiche. In futuro vedremo quindi i chip ibridi di Koniku? Davvero si potranno usare delle cellule cerebrali attive insieme con il silicio per creare macchine più evolute, nel giro di cinque anni?