Dopo lo scandalo delle intercettazioni di massa rivelato da Edward Snowden, torniamo ad occuparci di privacy dando uno sguardo ad un inquietante report pubblicato dalla facoltà di giurisprudenza della Georgetown University, secondo il quale ben 117 milioni di adulti statunitensi sarebbero già schedati all’interno del sistema di riconoscimento facciale della polizia.
Se si considerano le cifre nude e crude, si traduce in un numero spropositato: una persona adulta su due sarebbe già stata schedata, ed è inverosimile ritenere che queste operazioni siano avvenute in una logica di aggiornamento degli “schedari” da cartacei a digitali, perché vorrebbe dire che in ogni famiglia americana ci sarebbe un adulto condannato per qualche crimine.
Guardando il dato da un’altra prospettiva, vorrebbe dire che circa il 25 percento dei cittadini al di sopra dei 18 anni è stato schedato dal sistema di riconoscimento facciale delle forze dell’ordine, le quali, per procedere alla realizzazione di questo enorme database, hanno utilizzato i dati presenti sulle patenti rilasciate da 26 stati, un modo di procedere inammissibile in una società liberale.
Nel report, infatti, si sottolinea come all’interno siano presenti persone che non hanno commesso alcun tipo di reato e che, quindi, in una sorta di logica “preventiva”, vengono già inserite all’interno del database per “possibili usi futuri“, senza che peraltro siano stati elaborati degli standard minimi sull’accuratezza dei dati né dei sistemi di controllo di quanto fatto finora.
L’uso di questi sistemi di riconoscimento facciale, del resto, non è nemmeno regolamentato in maniera chiara – salvo nell’Ohio, dove è proibito farne uso per individuare persone attive in lotte politiche, religiose o comunque altre attività ammesse in nome della libertà di espressione – come del resto non vi è un audit sull’utilizzo della banca dati da parte delle forze dell’ordine.