Se avete uno smartphone Android sappiate che è impossibile giocare a nascondino con Google: saprà sempre dove siete. E purtroppo, per quanto possa sembrarvi paradossale, non è uno scherzo. Ad agosto due inchieste distinte hanno sollevato il problema della tracciabilità degli utenti, che Google effettuerebbe anche quando viene espressamente negato il consenso. Ma andiamo con ordine.
Tracciati da Google, anche quando neghiamo il consenso
Diverse app di Google, durante l’installazione, chiedono all’utente se vuole condividere le informazioni sulla propria posizione, dati che vengono raccolti nella Cronologia delle posizioni per consentirci, testuali parole, “di ricevere risultati e consigli migliori sui prodotti Google”. Se non volete mantenere questa cronologia, potreste pensare che basti deselezionare la voce specifica. Purtroppo non è così semplice. Infatti il 13 agosto AP (Associated Press), in collaborazione con ricercatori dell’università di Princeton, ha evidenziato come alcune app di Google tengano traccia della vostra posizione anche quando voi disattivate la Cronologia delle posizioni. E non si tratta di compiere operazioni così astruse, basta aprire Google Maps, fare una ricerca su Google o richiedere le previsioni meteo. Big G ha confermato lo scoop di AP, ma si è difesa sostenendo che quei dati sono utilizzati semplicemente per fornire servizi migliori agli utenti.
Siccome le disgrazie non vengono mai sole, pochi giorni dopo, il 21 agosto, un professore dell’università Vanderbilt, Douglas Schmidt (che per ironia del destino ha lo stesso cognome dell’ex Ceo di Google) ha pubblicato una ricerca in cui analizza le interazioni tra gli smartphone Android e i server di Google. Quello che ne risulterebbe è uno scenario ancora peggiore di quello emerso dall’indagine di AP. Su un terminale Android basta avere il browser Chrome in background per inviare 340 volte al giorno (in pratica una volta ogni 4 minuti) la posizione ai server di Google.
Il costo dei servizi “gratuiti”
Big G non vuole certo trasformarsi in Big Brother, che ci controlla in tutto quello che facciamo. Semplicemente i dati raccolti ci rendono più appetibili, per gli inserzionisti pubblicitari, visto che è possibile personalizzare meglio la pubblicità con un dato non secondario: dove siamo e/o dove siamo stati. Ma è il prezzo da pagare per avere servizi “gratuiti”: se non pagate per utilizzarli, allora il prodotto siete voi.
La nostra tracciabilità solleva ancora una volta il polverone della nostra (inesistente) privacy. Volete salvaguardarla? Parafrasando Eugene Spafford “l’unico vero smartphone sicuro è quello spento, gettato in una colata di cemento e sigillato in una stanza rivestita da piombo, protetta da guardie armate. E anche in quel caso ho i miei dubbi”.