Gli algoritmi, spesso descritti come strumenti neutrali e oggettivi in realtà sono strumenti per (far) leggere e (far) interpretare la realtà.
Se state pensando a un altro (l’ennesimo) saggio sui big data e sulla gestione delle informazioni che è possibile raccogliere dalla Rete… beh, vi state sbagliando. Che Datacrazia sia un libro diverso da tutti gli altri è intuibile sin dall’inizio, dall’introduzione del curatore Daniele Gambetta che per introdurre il lavoro cita, spiazzandoci tutti (positivamente) niente meno che Italo Calvino e il suo saggio Cibernetica e fantasmi. Ora – ammettiamolo – tutto ci saremmo aspettati ma non che fosse chiamato in causa Calvino in un simile contesto. E – lo avrete capito – la cosa non ci ha lasciato indifferenti e ci è parecchio piaciuta.
Datacrazia entra subito nel vivo, sin dalle primissime pagine. L’obiettivo del volume è quello di raccontare i cambiamenti che viviamo ogni giorno (facilitati dalla sempre più ingombrante presenza delle tecnologie digitali) e che stanno trasformando la società: dalla politica alla ricerca scientifica, dai rapporti sociali alle forme di lavoro, in modo tutt’altro che trasparente. Gli algoritmi, spesso descritti come strumenti neutrali e oggettivi in realtà sono strumenti per (far) leggere e (far) interpretare la realtà. Giudicano medici, ristoranti, insegnanti e studenti, concedono o negano prestiti, valutano lavoratori, influenzano gli elettori, monitorano la nostra salute.
Datacrazia indaga, con spirito multidisciplinare e critico, i rischi e le potenzialità delle nuove tecnologie, provando a immaginare un futuro plausibile che possa (magari) anche rivelarsi all’altezza delle nostre aspettative.