Considerato come uno dei migliori videogiochi del 2008 e, in assoluto, uno dei migliori giochi di sempre, Braid è un puzzle-platformer in cui l’azione lascia il posto a ingegnosi enigmi basati sulla manipolazione dello scorrere del tempo. Un concetto semplice ma dalle conseguenze imprevedibili, almeno per lo spaesato giocatore che si trova a (ri)vivere una delle esperienze ludiche più frustranti che ci è capitato di provare nella nostra lunga carriera da gamer.
La manipolazione del flusso temporale provoca diverse “perturbazioni” nella fisica del mondo di gioco, e Braid usa ciascuna perturbazione come “anima” e leit-motiv dei cinque diversi mondi in cui è suddiviso il suddetto mondo. In Braid il tempo si può riavvolgere, può creare “ombre” dei personaggi che vivono una timeline parallela e altro ancora.
Jonathan Blow, designer statunitense che ha raggiunto al notorietà (e il successo finanziario) proprio con Braid, ha voluto però strafare realizzando un’esperienza interattiva che, nelle fasi avanzate del gioco, lascia spesso il posto alla frustrazione. Braid è uno dei pochissimi titoli (forse l’unico) che non siamo riusciti a portare a termine negli ultimi anni senza sbirciare qualche “how-to” su YouTube.
Per chi avrà abbastanza fegato da resistere – o abbastanza tempo extra da passare su un puzzle alla volta ripetendo sempre lo stesso livello ancora, e ancora, e ancora, e ancora, e ancora – Braid propone una storia misteriosa e vagamente surreale intrecciata (“braid” in inglese significa appunto treccia) con il tempo, il significato e le possibili evoluzioni dei rapporti umani. O qualcosa del genere. Disponibile su PC (via GOG.com), PS3 e Xbox 360.