Alla fine dello scorso mese di luglio Pirifom ha distribuito quello che sembrava l’ennesimo aggiornamento di routine per CCleaner, il suo celebre tool dedicato alla pulizia e all’ottimizzazione dei sistemi Windows. Le note di rilascio parlavano infatti di risoluzione di bug e di un “rapporto più dettagliato per i bugfix e i miglioramenti del prodotto”. Nel giro di pochi giorni, però, la nuova release (5.45) è finita al centro di un’aspra polemica tra l’azienda e i suoi utenti: al suo interno, infatti, si trovava una nuova funzione di monitoraggio delle attività dell’utente che non poteva essere disattivata in alcun modo tramite l’interfaccia del software. Inoltre, non si riusciva più a chiudere completamente il programma: un processo legato al software restava spesso in esecuzione e doveva essere terminato manualmente.
CCleaner, ritirata la 5.45 e rilasciata la 5.46
Il caso ha fatto scalpore e provocato una valanga di lamentele, anche a causa della grande popolarità del software. Dopo aver meditato sul da farsi per qualche giorno, Piriform ha deciso un’inversione di rotta totale: ha ritirato la versione incriminata (nel momento in cui scriviamo il sito ufficiale del programma offre ancora la precedente release 5.44) e ha promesso una riscrittura approfondita delle funzioni di monitoraggio delle attività. (Aggiornamento, il 3 settembre è stata rilasciata la versione 5.46).
Questa vicenda è paradigmatica di una tendenza sempre più diffusa nell’industria It, che danneggia gli utenti in un maldestro e malinteso tentativo di semplificare la loro vita: quando un software, un dispositivo o un sistema operativo modificano le loro funzioni, le novità vengono quasi sempre applicate e attivate per default, lasciando eventualmente ai singoli utenti l’onere di ritornare alle impostazioni precedenti, sempre che sia possibile. Non solo: durante l’installazione di molti software o all’atto dell’iscrizione alla maggior parte dei servizi, vengono proposte per default le impostazioni più estreme, specialmente per quanto riguarda l’accettazione delle clausole relative al tracciamento delle attività e alla cessione di quote rilevanti della privacy.
Opt-in e opt-out
Sia chiaro, la semplificazione è sicuramente benvenuta: operazioni un tempo riservate ai soli esperti, come l’installazione di un sistema operativo, sono oggi alla portata anche di un utente comune. Ma la semplificazione non può essere utilizzata come paravento per inserire clausole discutibili o attivare funzioni che consentano il tracciamento delle attività degli utenti per sole finalità commerciali. Manca una legislazione di livello sovranazionale che costringa tutti gli attori di questo settore a implementare meccanismi di opt-in: si illustrano agli utenti le novità o le funzioni critiche per poi lasciare a ognuno la libertà di decidere cosa attivare e cosa invece mantenere disattivato.
Oggi invece vige il più selvaggio opt-out: le carte in tavola possono cambiare in ogni momento e l’utente (che spesso è un cliente pagante) deve individuare le nuove funzioni, scoprirne le implicazioni e scovare gli strumenti o le opzioni da modificare per raggiungere la configurazione desiderata (sempre che il produttore non abbia dimenticato di inserire le impostazioni necessarie).