Una stampante 3D può scatenare il progettista e l’artista che sono dentro di noi: permette di creare da zero, senza quasi nessuno sforzo o abilità manuale, oggetti complessi che con le tecniche costruttive tradizionali richiederebbero lavorazioni ben più complesse, o addirittura impossibili per chi non dispone di un’officina con un set completo di macchine utensili. Perché le stampanti 3D lavorano con un principio totalmente diverso da quelli tipici dell’automazione industriale moderna, che produce oggetti complessi e di elevata qualità, ma richiede macchine e infrastrutture elaborate e costose.
di Nicola Martello
I processi industriali tradizionali per la fabbricazione di elementi tridimensionali sono riconducibili a tre tipologie principali: fusione, stampaggio e fresatura. Per le prime due sono necessari stampi in cui colare o pressare il materiale grezzo, stampi che vanno a loro volta costruiti, con altri macchinari. La fresatura richiede una macchina dotata di una punta rotante abrasiva, i cui movimenti sono comandati da un computer (Cnc, Computer Numerical Control). È un processo sottrattivo, cioè si parte da un blocco di materiale che viene gradualmente scavato dalla fresa. Una stampante 3D, invece, lavora secondo il principio additivo, cioè aggiunge materiale solo dove serve, costruendo l’oggetto uno strato orizzontale alla volta. Più questi strati sono sottili, migliori saranno la precisione e la qualità delle superfici: con le stampanti 3D migliori, queste saranno lisce, e non percorse da sottili solchi come è tipico delle forme create dalle stampanti più grossolane. I pregi di queste macchine sono la capacità di creare forme complesse, impossibili da ottenere con uno stampo o con una macchina tradizionale come una fresa Cnc, e la semplicità della filiera produttiva, poiché non sono necessarie altre macchine (come quelle per creare gli stampi). Grazie a queste caratteristiche, le stampanti 3D stanno avendo sempre maggiore successo non solo tra gli appassionati (i cosiddetti maker) ma anche nel mondo industriale, in particolare in quello aeronautico, poiché permettono di costruire oggetti complessi senza lunghi e costosi passaggi intermedi e senza dover utilizzare molte macchine diverse.
Ma la stampante 3D da sola non basta: serve un software per creare l’oggetto, o più precisamente per progettarlo, prepararlo per la stampa e comandare i movimenti della macchina. Quasi sempre, in realtà , queste funzioni sono svolte da tre programmi diversi, ciascuno specializzato in delle tre fasi, ossia Cad (Computer Aided Design), slicing e client software. La prima classe di applicazioni include gli strumenti per definire la forma dell’oggetto, ottenendo un disegno 3D che ne descriva in maniera precisa tutte le caratteristiche dimensionali in scala 1:1. I Cad più sofisticati includono anche strumenti per l’analisi della resistenza della forma sotto carico (Fem, Finite Element Method), una volta stabilito il materiale che sarà impiegato per la costruzione. È uno step progettuale importantissimo nel mondo industriale, poiché consente di individuare sia le zone soggette a maggior sforzo – e quindi a rischio di rottura – sia le parti che lavorano poco e sono eliminabili o riducibili senza compromettere la funzionalità dell’oggetto, con conseguente risparmio di materiale e di lavorazione. Purtroppo questo tipo di analisi richiede software e competenze di solito oltre la portata dell’appassionato, che deve affidarsi al buon senso e all’esperienza per progettare una parte meccanica che non si rompa al primo impiego.
Per creare oggetti 3D non esistono solo i Cad, ma anche i software per la scultura virtuale: si parte da una forma base come una sfera, un cubo o anche un abbozzo e se ne scolpisce la superficie, aggiungendo e togliendo materiale dove serve. Questi applicativi replicano in maniera piuttosto fedele il lavoro di uno scultore alle prese con un blocco di creta e sono ideali per ottenere forme organiche come visi, manichini, statuette di animali o esseri di fantasia. Non sono adatti per creare parti meccaniche, che devono rispondere a canoni di precisione più stringenti.
Se gli applicativi Cad servono per la progettazione in generale, quelli per lo slicing sono specifici per il processo di stampa 3D: il loro compito è quello di tagliare virtualmente l’oggetto in tante fette orizzontali, definendo per ciascuna la sagoma bidimensionale che ne risulta. Queste sagome saranno poi inviate, una dopo l’altra, alla stampante 3D, che le percorrerà con l’estrusore (questo è il nome della “testina” che deposita il materiale) o le definirà con un velo di liquido o di polvere indurita tramite luce o reagenti chimici, a seconda della tecnologia di stampa. La sovrapposizione di queste sottili sagome, fatta con la precisione necessaria, permette di arrivare all’oggetto finito. Se però l’oggetto ha zone a sbalzo molto sporgenti e la stampante 3D usa un filo plastico, il software di slicing deve anche generare supporti verticali (asportabili una volta terminata la stampa) che rendano possibile la costruzione di queste parti.
Infine, i client software sono veri e propri driver sviluppati per i diversi tipi di stampanti; in memoria hanno tutti i dati dimensionali e le impostazioni di funzionamento relativi alle diverse macchine con cui sono compatibili. Questo è il software che traduce le informazioni generate nella fase di slicing in istruzioni che siano comprensibili dall’elettronica della stampante, come per esempio quali movimenti compiere con l’estrusore per tracciare le diverse sagome 2D.
Nelle prossime pagine concentreremo l’attenzione sui programmi Cad più adatti all’abbinamento con una stampante 3D, concentrandoci in particolare su quelli gratuiti e alla portata degli utenti amatoriali. Inoltre, offriremo una panoramica approfondita sulle stampanti 3D disponibili per il settore amatoriale. Le altre due categorie di software (slicer e client), saranno oggetto di un prossimo articolo. (…)