Quella di Microsoft è l’ultima delle grandi e costose acquisizioni nell’IT. Non tutte profittevoli.
di Giorgio Panzeri
Otto miliardi e mezzo di dollari, circa sei miliardi di euro. Questa è la straordinaria cifra versata da Microsoft per comprare Skype con un’operazione finanziaria che non si vedeva da tempo nel settore dell’informatica. L’acquisizione di Skype serve alla multinazionale di Redmond per raggiungere tre obiettivi. Innanzitutto aggredire il settore degli smartphone aggiungendo Skype a Windows Phone 7, perché oggi il mercato è dominato da Google (con i telefonini che usano Android) e Apple (con iOs su iPhone). Poi il gigante di Redmond ha l’esigenza di essere ancora più competitivo nel settore dei giochi, migliorando i servizi on-line (in questo caso video e voce) da offrire agli utenti della sua console Xbox. E infine vuole fornire un sistema di messaggistica testuale e vocale più potente (e soprattutto con un’immagine più professionale) per i servizi cloud rivolti alle aziende, come Office 365 o Microsoft Intune. Ma ci chiediamo: è un’operazione necessaria? Avrà successo?
Storicamente le fusioni tra grandi aziende o le acquisizioni da miliardi di dollari non sempre hanno dato i frutti sperati. Chi ha qualche capello bianco come il sottoscritto si ricorderà delle grandi fusioni alla fine degli anni ottanta nel settore dei mini computer e dei mainframe. Il personal computer era agli albori e il settore era dominato da Ibm con i suoi grandi elaboratori. Il computer sulla scrivania era il terminale stupido e tutti facevano riferimento al centro elaborazione dati, con i tecnici in camice bianco sempre presi a scrivere procedure. Il motto tra i produttori di informatica era: fare massa critica. Ecco perché la francese Bull acquistò la Honeywell, e poi Sperry e Burroughs si fusero per creare la Unisys Corporation. Società che forse i giovani neppure conoscono, perché spazzate via (o meglio decisamente ridimensionate) da quello tsunami tecnologico e di mercato chiamato personal computer. Quindi i grandi capitali spesi per gli accorpamenti non sono poi serviti a molto. Non sono serviti soprattutto a mantenere vive e grandi alcune società .
E che dire di Compaq, Hp e Acer? La scalata al mercato professionale di Compaq è cominciata nel momento delle concentrazioni con l’acquisizione nel 1998 di Dec (ve la ricordate la visionaria e rivoluzionaria Digital Equipment Corporation?). La situazione del mercato con il calo della domanda di minisistemi e l’esposizione finanziaria dovuta all’acquisizione hanno piegato Compaq che nel 2002 è stata acquisita da HP. Vista la sovrapposizione delle linee di prodotto, i dirigenti HP probabilmente concepirono l’operazione più per spazzar via il concorrente più aggressivo del momento che non per mettere le mani su fabbriche produttive o tecnologia. Era il momento d’oro dell’informatica e i prodotti di allora erano concettualmente simili a quelli di Apple di oggi (anche se tecnologicamente preistorici): tante idee e personalizzazione, buona qualità complessiva, prezzi e margini elevati.
Cancellata Compaq, però HP si trovò a competere con un nuovo concorrente temibile che stava espandendosi con una politica di mercato totalmente diversa, fatta di prezzi contenuti (e bassi margini) a fronte di altissimi volumi: Acer. E anche la storia di Acer, società taiwanese, è costellata di acquisizioni, guarda caso di aziende statunitensi. Prima (nel 2002) mette le mani sulla divisione notebook di Texas Instruments, poi nel 2007 acquisisce Gateway, seguita da Packard Bell nel 2008. La stessa politica aggressiva che ha portato agli onori delle cronache Acer le sta creando i problemi di oggi, soprattutto perché il mercato dei netbook, di cui è leader, sta perdendo colpi dato che gli utenti vogliono i tablet (principalmente l’iPad).
Insomma, le fusioni e le acquisizioni alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni non sempre hanno raggiunto lo scopo che si prefiggevano, soprattutto quando non avevano l’obiettivo di carpire e usare nuove conoscenze tecnologiche, ma sono servite solo a fare massa critica. Perché crescere troppo in un mercato altamente competitivo è complicato ma a volte può anche essere un problema e, come dice il proverbio, chi sale più in alto quando cade fa più rumore. •