L’assistente digitale di Amazon viene chiamato alla sbarra (metaforicamente parlando) per fare da testimone in un caso di sospetto omicidio. La polizia ottiene le registrazioni ma la loro utilità è tutta da dimostrare.
Oltre a essere sotto accusa per la loro tendenza a “spiare” nelle case degli utenti e, più in generale, a mettere a repentaglio la privacy domestica, i dispositivi che integrano la piattaforma Amazon Alexa possono anche fare da testimoni quando si tratta di valutare un potenziale caso di omicidio. E’ già successo in passato ed è capitato di nuovo lo scorso giugno, in Florida, quando un apparente incidente domestico ha portato alla morte della trentaduenne Silvia Galva.
Il principale sospetto per la morte di Galva è Reechard Crespo, suo fidanzata di 43 anni, che alla polizia ha descritto la sorte della vittima come conseguenza di un incidente avvenuto nel corsi di una lite domestica. I due stavano discutendo animatamente quando Galva ha afferrato una lancia con una lama da 12 centimetri, lancia che è finita poi in pezzi impalando la donna in pieno petto.
Crespo sostiene di aver rimosso la lama dal petto di Galva nel tentativo di salvarle la vita, ma il tentativo è stato evidentemente vano e la donna è morta. L’uomo si professa innocente ed è attualmente libero dopo il pagamento di una cauzione da 65.000 dollari, mentre le indagini vanno avanti e coinvolgono anche i due smart speaker Alexa presenti nell’appartamento.
La polizia crede che l’assistente digitale di Amazon abbia registrato conversazioni vitali per la soluzione del caso, e ha per questo chiesto alla corporation di Jeff Bezos di fornire accesso ai server di Alexa e al relativo materiale audio.
Amazon ha consegnato “diverse registrazioni” dell’appartamento, ma ha confermato agli investigatori che prima di mettersi in ascolto, lo speaker va attivato volontariamente dall’utente tramite la pronuncia della parola “Alexa”. Le registrazioni sono attualmente in fase di valutazione da parte delle forze dell’ordine locali.