Negli Stati Uniti, il cosiddetto fenomeno dei patent troll – vale a dire di coloro i quali ottengono brevetti per idee esposte in maniera molto sommaria e generica – non accenna a diminuire e, anzi, con il recente caso di Apple – citata in giudizio da un cittadino statunitense, che rimprovera all’azienda di Cupertino di aver prodotto l’iPhone violando un suo brevetto del 1992 – dimostra ancora una volta la necessità di un intervento del legislatore.
La vicenda che vede coinvolta la Mela Morsicata, ha preso il via con un brevetto che Thomas S. Ross – un americano residente in Florida – ha depositato nel 1992 e che riguardava la creazione di un device elettronico con il quale si potessero sfogliare contenuti scritti, immagini e video, attraverso uno schermo touch – piatto – dotato di retroilluminazione, insomma, gli smartphone che da qualche anno si trovano sul mercato.
Nella domanda di brevetto, poi, non mancavano nemmeno accenni al fatto che questo dispositivo potesse essere utilizzato per comunicare – indicando la presenza di un modulo telefonico e di un modem – e anche che fosse in grado di offrire un’esperienza utente con input e output, potendo per esempio scrivere testi, archiviabili e leggibili anche in seguito, grazie alla presenza di una memoria interna e di supporto per memorie esterne.
Dopo esser stato depositato nel 1992, però, lo stesso Ross non richiese più il rinnovo dello stesso brevetto, con la conseguenza che lo stesso – dal 1995 – finì per essere abbandonato. Nel 2014, infine, lo statunitense cercò di rinnovare – ovviamente senza successo – questo suo vecchio brevetto, sulla scorta del quale, ora, Apple dovrebbe riconoscergli un risarcimento di 10 miliardi di dollari, pari all’1.5% delle vendite dei device coinvolti nella vicenda.