Il comunicato ufficiale è breve e secco: “Giancarlo Lanci aveva sulle strategie future della società una visione diversa dalla maggioranza dei membri del consiglio d’amministrazione riguardo a questioni come dimensioni, crescita, creazione di valore, posizionamento del brand, allocazione delle risorse e metodi di implementazione”. Divergenze sempre più profonde in un momento di crisi: per la prima volta il fatturato è cresciuto di molto poco e gli utili si sono drasticamente ridotti, con un calo del valore delle azioni. E Giancarlo Lanci ha lasciato Acer. Dove andrà a parare ora la società non si sa, o almeno cosa vuol fare è chiaro ma come lo farà è un mistero. Ma andiamo con ordine.
Parlo di Acer e soprattutto di Lanci nell’editoriale di questo mese perché la storia di questa azienda e di questo importante personaggio dell’informatica mondiale sono legate a filo doppio con l’evoluzione del mercato. Ho conosciuto Lanci nel 1998 durante un viaggio a Taiwan, pochi mesi dopo l’acquisizione da parte di Acer della statunitense Texas, avvenuta nel 1997. Eravamo nel momento della massima espansione del personal computer e Stan Shin, il fondator di Acer acquistò Texas per aggredire il mercato mondiale e per togliere ai propri prodotti il marchio di “clone” che avevano tutti i computer assemblati nell’isola cinese. Non a caso, proprio durante il viaggio a Taiwan organizzato da Lanci per farci conoscere la nuova realtà , Stan Shin regalò a tutti i giornalisti presenti la sua biografia, intitolata “Me-too is not my style”, che racchiudeva la sua filosofia: non appiattirsi su ciò che conviene, non essere uguali agli altri, pensare in modo aggressivo e diverso. Lanci arrivava da Texas ed era stato nominato responsabile italiano della nuova Acer. Il modello pensato da Lanci e applicato in Italia era talmente aggressivo e diverso da far diventare la nostra nazione la più redditizia per Acer. Un modello con uno scopo chiaro: essere il numero uno per numero di prodotti venduti e fatturato, anche aggredendo il mercato con prodotti dal prezzo più competitivo possibile. E ce l’ha fatta. Ha poi esportato il modello diventando prima responsabile europeo, dal 2005 presidente dell’intera corporation e dal 2008 anche amministratore delegato (Ceo). È il primo caso di un italiano presidente e amministratore delegato di una multinazionale taiwanese. Anche perché, grazie alla cura di Lanci, Acer è cresciuta tantissimo, e per espandere il proprio business è arrivata anche ad acquisire altre due aziende statunitensi: Packard Bell e Gateway. Una lotta per la supremazia che ha visto Acer sempre in lotta con HP. Acer e HP hanno sdoganato il personal computer facendolo diventare un oggetto consumer, da comprare quasi a scatola chiusa, guardando in primo luogo il prezzo di vendita e poi le caratteristiche tecniche. Un oggetto molto democratico, per tutti. La lotta si è poi spostata dai notebook ai netbook, piccoli, portatili, con potenza infima ma dal prezzo ancora più basso. Alto volume e margine operativo risicato.
Ma il mercato è cambiato e Apple ha scombinato tutto con l’invenzione dei tablet che hanno brutalmente eroso il mercato dei netbook, creando ad Acer i problemi di cui abbiamo parlato sopra. Lo scontro insanabile tra il consiglio di amministrazione di Acer e Lanci nasce proprio da una differente “vision” del futuro. Da un lato Lanci, secondo me in modo molto corretto, vuole presidiare il mercato dell’informatica, consolidando la propria posizione con una politica di basso costo e alti volumi, ma contemporaneamente seguendo con prodotti e strategie nuove anche i settori emergenti della mobility (i tanti smartphone e tablet di Acer che abbiamo visto all’ultimo Mobile World Congress di Barcellona). I soci di maggioranza di Acer vogliono invece puntare subito sui nuovi settori e non con i prodotti da battaglia che hanno sempre caratterizzato Acer, ma con manufatti evoluti e d’alto margine operativo (come quelli di Apple). Secondo Stan Shih non è più il momento di inseguire e mantenere il primato nei personal computer, perché il mercato sta virando in direzione dei nuovi supporti come smartphone, tablet e contenuti multimediali. Il ragionamento non fa una grinza, ma una società che ha fatto dell’articolo mass market la propria fortuna non può convertirsi in tempi brevi in un’azienda che ha nel prodotto di tendenza ad alto costo e alto margine il suo punto di forza. O almeno, potrebbe farlo in un solo modo: comprando Apple.