Brave, il browser alternativo che usa la pubblicità non invasiva per autofinanziarsi, ce l’ha su a morte con Google: a dire della società, il colosso di Mountain View è colpevole di aver organizzato un autentico “supermercato” per la (s)vendita dei dati raccolti dagli utenti attraverso i suoi tanti servizi telematici. Google vìola la GDPR europea, sostiene Brave, e ora si è passati alla denuncia formare presso le autorità comunitarie.
Secondo il reclamo formale reso
pubblico da Brave, Google si è resa protagonista
della violazione dell’articolo 51 della GDPR – quello che stabilisce il principio del “limite di scopo” per la raccolta dei dati degli utenti. Secondo la norma, i dati personali vanno raccolti e processati per motivi specifici e ben definiti, e non possono essere utilizzati per scopi diversi da quelli ufficialmente dichiarati.
Stando a quanto evidenziato da Johnny Ryan di Brave, invece, Google funziona come una vera e propria “scatola nera” che raccoglie i dati attraverso decine di servizi Internet differenti (Web, app, ChromeOS), li accorpa e poi li processa per scopi non ben definiti in totale violazione delle regole della GDPR. Obbligare Google a cambiare tale comportamento equivarrebbe, secondo Brave, a una “separazione funzionale” dell’attuale struttura del business dell’advertising di Mountain View.
Brave ha da tempo espresso le proprie lamentele sulle pratiche opache di Google, e la nuova denuncia formale è stata depositata presso la Irish Competition and Consumer Protection Commission (ICCPC) che ha lo scopo di verificare la corretta applicazione della GDPR in Europa. Qualora le autorità comunitarie (ICCPC e non solo) non intervenissero, Brave è intenzionata a procedere anche da sola rivolgendosi ai tribunali in maniera diretta.