L’argomento ha già fatto discutere a più riprese la società civile nel corso degli ultimi anni, creando un dibattito al riguardo delle potenziali derive correlate all’uso di chip sottocutanei nella vita quotidiana degli individui: eppure, ad oggi, tra le 30.000 e le 50.000 persone – distribuite un po’ in tutto il mondo – utilizzerebbero questi chip per attività di vario tipo.
Il quotidiano statunitense – nello stimare il numero di persone – ritiene che l’uso principale di queste soluzioni tecnologiche di ultima generazione sarebbe principalmente rivolto al riconoscimento degli individui per l’ingresso in alcuni luoghi particolari, o in alcuni casi, addirittura come soluzione ancor più evoluta della biometrica per quanto riguarda le serrature delle porte di casa.
Secondo lo stesso Wall Street Journal, questi chip sottocutanei potrebbero del resto essere utilizzati in un futuro prossimo in ambito medico, per assicurare applicazioni evolute: con le loro dimensioni ridotte (alcuni millimetri) possono essere impiantati in alcuni minuti, quindi attivati e resi in grado di comunicare sfruttando delle radiofrequenze simili a quelle dei badge o smartphone..
I chip potrebbero essere sfruttati per salvare informazioni mediche attraverso le quali facilitare l’operato del personale sanitario in caso di interventi da effettuare d’urgenza, sebbene, si possano porre dei problemi a livello etico, soprattutto se lo stesso chip fosse impiantato in persone che, a causa del loro stato mentale, non fossero capaci di manifestare il proprio consenso.
Nel suo articolo, infine, il quotidiano americano cita un olandese di 32 anni, il quale sfrutta alcuni tag distribuiti sul suo corpo per compiere azioni quotidiane come l’apertura dell’uscio domestico, o ancora, l’accesso al parcheggio della sua azienda o, infine, per ottenere un riconoscimento immediato nel momento in cui lo stesso entri all’interno della sua sede aziendale.