I numeri sono ancora piccoli per parlare di un’economia del cloud ma certo quei 443 milioni di euro stimati per il mercato del cloud computing a fine 2012, uniti a tassi di crescita del 25% anno su anno, sono l’unica ancora di salvezza a cui ci si può aggrappare, in uno scenario di piena recessione. La spesa per l’ IT come ha mostrato il Rapporto Assinform qualche settimana fa è in contrazione del 4,1% e il mercato è rimasto fermo a 17,67 miliardi di euro per il 2011. Il Cloud potrebbe rappresentare la marcia giusta per far ripartire l’economia e l’informatica anche perché i benefici portati in termini di riduzione di costi di esercizio sono notevoli: 15% in meno. Si stima che al 2015 il risparmio accumulato dal Cloud possa valere 450 milioni di euro e arrivare persino 1 miliardo di euro, se ben utilizzato.
Al momento tuttavia il cloud computing è ancora un fenomeno relegato al mondo delle grandi aziende che lo utilizzato nel 67% dei casi. Tra le imprese sotto i 250 addetti invece solo il 22% dichiara di aver avviato progetti cloud e il 76% non ne fa proprio utilizzo. Questi dati sono stati diffusi oggi dall’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano basandosi sulle interviste a 130 Chief Information Officer di grandi aziende italiane e 660 responsabili IT di piccole e medie imprese.
La spesa in cloud computing (443 milioni di euro) rappresenta solo il 2,5% di tutta la spesa IT ed è divisa tra private cloud (circa 240 milioni di euro) e public cloud ( 203 milioni di euro) con una prevalenza del primo sia in termini di investimenti (il 54% della spesa) sia come diffusione nelle grandi aziende: 48% contro il 41% dei public cloud.
Per il public cloud oltre il 95% della spesa è sostenuta da gruppi con più di 250 addetti ; la prima voce è relativa all’acquisto di servizi di infrastrutture as a service (IaaS): circa 120 milioni di euro mentre i servizi applicativi Saas valgono 65 milioni.
I benefici indicati dalle aziende vedono oltre al risparmio economico la scalabilità del servizio ( 57%) la riduzione della complessità di gestione dei data centre e dei sistemi applicativi (55%) ; minori investimenti richiesti a parità di soluzioni sviluppate (53%); maggiore flessibilità (41%); continuità di servizio intesa come sicurezza e affidabilità dei sistemi (37%) e infine una misurabilità e controllabilità dei costi (37%).
La ricerca smonta anche alcuni falsi miti come l’indisponibilità delle infrastrutture di rete o i timori relativi a privacy e sicurezza: nei modelli di Public Cloud si registrano minor casi di perdite di dati rispetto alle situazioni precedenti e una maggior continuità di erogazione del servizio. Se ci sono barriere allo sviluppo d tali tecnologie esse sono più di natura tecnologica e comunque esterne all’azienda.
Nel complesso i progetti di private e public cloud analizzati (la ricerca ha preso in esame circa110 best practise) hanno mostrato una riduzione del total cost of ownership (TCO) stimabile tra il 10% e il 20%.