Da quando lo scandalo Cambridge Analytica ha sconvolto Facebook, i guai per Mark Zuckerberg non sembrano diminuire. Dopo aver bruciato quasi 80 miliardi di capitalizzazione in borsa trascinando con sé anche Twitter (che perde addirittura il 12%), l’azienda californiana dovrà far fronte ad una causa in cui tre utenti hanno lamentato una grave violazione della privacy attraverso l’app Facebook Messenger per Android.
I’ve just looked at the data files I requested from Facebook and they had every single phone number in my contacts. They had every single social event I went to, a list of all my friends (and their birthdays) and a list of every text I’ve sent.
— Emma Kennedy (@EmmaKennedy) 25 marzo 2018
a historical record of every single contact on my phone, including ones I no longer have pic.twitter.com/XfiRX6qgHl
— Dylan McKay (@dylanmckaynz) 21 marzo 2018
Gli utenti attraverso il proprio account su Twitter, hanno reso noto che l’app di Facebook aveva immagazzinato la totalità di messaggi ricevuti e inviati, le chiamate e le foto, dai dispositivi su cui Facebook era installata. Ovviamente i vari post sono diventati ben presto virali e l’azienda è dovuta correre nuovamente ai ripari sostenendo che questa pratica non è illecita dal momento che, prima dell’installazione, gli utenti devono accettare alcuni permessi.
Solo nei prossimi giorni si potrà stabilire se la causa potrà divenire una class action proprio come è accaduto ad Apple nei mesi scorsi per le batterie.
Non solo cause: diverse aziende molto importanti quali Space X di Elon Musk e Playboy, hanno deciso di abbandonare il social network blu in seguito al movimento #DeleteFacebook.
Tra i sostenitori di #DeleteFacebook anche il co-founder di WhatsApp Brian Acton, da poco uscito dai vertici dell’app di messaggistica per perseguire nuovi progetti. Ha fatto scalpore la sua fuoriuscita su Twitter “#DeleteFacebook, it’s time” specie considerando che l’app da lui sviluppata assieme a Jan Koum è stata venduta proprio a Zuckerberg per 16 miliardi di dollari.
Tuttavia le stesse aziende, se ne guardano bene di abbandonare anche Instagram, sempre di proprietà di Facebook.
Il motivo? Semplicemente #DeleteFacebook sta diventando (o meglio, cercando di diventare) più un trend che una vera protesta contro la violazione della privacy e a dire la verità, sono pochi i coraggiosi brand che si allontanano dal social network di Zuckerberg. Sebbene l’efficacia delle pagine ha subito un crollo verticale con il cambiamento di algoritmo, abbandonarle è sicuramente un azzardo, ma è un più modo per far parlare di sé e dei propri prodotti.
Ma avrà senso?
Sicuramente ne ha poco scandalizzarsi dei dati (sebbene sensibili) che vengono salvati dai social network. Per quanto “lecito”, ma sicuramente poco etico, non è coerente lamentarsi delle pratiche di un’azienda continuando a usufruire dei servizi della stessa quali WhatsApp e Instagram, senza tener conto che molto probabilmente quelle pratiche vengano utilizzate anche da altri concorrenti di Facebook, ma che hanno saputo nasconderlo meglio.
Abbandonare Facebook non sembra quindi la via, dal momento che negli ultimi anni ha ricoperto una posizione predominante nella nostra vita lavorativa e sociale.
Dobbiamo rimanerne quindi prigionieri?
Non necessariamente.
Cancellarsi da Facebook è comunque possibile. Alcuni tentano la strada di Social Network alternativi, come “Vero”, un social di origine libanese creato nel 2015 e che nelle ultime settimane sta generando curiosità e nuove iscrizioni. Molti personaggi dello spettacolo hanno la propria pagina ufficiale sul nuovo social, anche se in Italia non sembra avere particolare presa.
Nelle prossime settimane si conoscerà il destino del social network di Mark Zuckerberg e le conseguenze ulteriori che dovrà affrontare.
Sarà difficile che altre aziende abbandonino Facebook o che questa bufera faccia la fortuna di social alternativi, tuttavia i vertici di Menlo Park dovranno incominciare ad avere più scrupoli sulla privacy dei propri utenti, che difficilmente accetteranno un nuovo scandalo, indipendentemente dal fatto che la pratica utilizzata sia lecita o meno.