L’attesa è finita. Dopo il susseguirsi di piccole anticipazioni oggi debuttano ufficialmente i processori Ryzen Threadripper 1950X e 1920X. È un lancio su scala globale, ma se da oggi tutti possono acquistare uno dei nuovi processori, sono in pochi coloro che nel corso delle ultime settimane hanno avuto la possibilità di provare e testare con mano un sistema equipaggiato con queste due Cpu.
La redazione di PC Professionale fa parte del gruppo ristretto di testate selezionate; dopo aver ricevuto uno dei kit numerati di Threadripper, a questo link trovate il video dell’unboxing, abbiamo subito cominciato a mettere sotto torchio l’hardware di nuova generazione inviatoci da Amd e oggi possiamo finalmente mostrarvi i risultati dei test. Questa anteprima è diversa dal solito: come sempre potrete leggere la recensione completa della prova sul prossimo numero di PC Professionale in uscita all’inizio di settembre, ma già da oggi vi forniamo qualche dettaglio in più anche sul web.
Cominciato dal kit che ci è stato fornito da Amd e del quale avete visto solo una piccola parte all’interno del video relativo all’unboxing. Per poter provare i processori Threadripper abbiamo ricevuto l’hardware per assemblare un banco prova completo:
• Processore: Amd Ryzen Threadripper 1950X
• Processore: Amd Ryzen Threadripper 1920X
• Memoria: 4 x 8 Gbyte Ddr4 Gskill in grado di operare a 3.200
• Scheda madre: Asus Zenith Extreme con chipset X399
• Disco: Samsung 960 Pro da 512 Gbyte in standard M.2
• Alimentatore: Thermaltake Toughpower iRGB Plus 1250W
• Dissipatore: Thermaltake Floe Riing 360 TT Premium Edition
Con questi componenti abbiamo realizzato un banco prova al quale abbiamo aggiunto una scheda grafica Amd RX 580 targata MSI e sul quale abbiamo installato il sistema operativo Microsoft Windows 10 in versione Creators Edition aggiornato attraverso la piattaforma Windows Update. Prima di passare ai risultati ottenuti durante i test della piattaforma, vogliamo ricapitolare le caratteristiche principali della nuova generazione di prodotti Amd.
Un’architettura Zen
Alla base di tutti i modelli che appartengono alla nuova generazione di processori Amd – Ryzen 7, Ryzen 5, Ryzen 3, Ryzen Threadripper così come quelli Epyc per il segmento enterprise – troviamo la microarchitettura Zen. Si tratta di una soluzione multi core progettata dalla fondamenta con lo scopo di offrire prestazioni elevate tanto a livello del singolo core quanto in configurazioni multi core. L’obiettivo di Amd è stato più ambizioso che in passato in quanto Intel è da molto tempo la prima della classe nel campo della progettazione di microarchitture x86 ad alte prestazioni non solo per quanto riguarda le prestazioni pure dei singoli core, ma anche per quanto riguarda l’efficienza e i consumi complessivi, così come per quanto riguarda la tecnologia litografica impiegata per l’incisione del silicio.
Per poter tornare ad essere competitiva nei confronti della soluzioni Intel, l’obiettivo della microarchitettura Zen è stato quindi di realizzare un core efficiente, con basse latenze, capace di operare ad alte frequenze senza compromettere il budget energetico e capace al tempo di fornire prestazioni scalabili in modo armonioso in funzione della frequenza operativa.
Le prestazioni di un singolo core sono di norma misurate attraverso il parametro Ipc (Instructions per clock, istruzioni per ciclo di clock): un processore capace di eseguire un maggior numero di istruzioni per ciclo di clock, per Hz o per MHz offre prestazioni superiori a parità di tutte le altre condizioni. Durante lo sviluppo della microarchitettura Zen, Amd ha dichiarato di voler incrementare il parametro Ipc del 40% rispetto alle proprie soluzioni di generazione precedete, senza incrementare i consumi energetici. Per ottenere questo risultato – in realtà Amd ha dichiarato di aver raggiunto un incremento del 52% rispetto all’architettura Piledriver – i progettisti hanno abbandonato in modo radicale le soluzioni dell’architettura Bulldozer.
Tutti i processori che impiegano la microarchitettura Zen sono prodotti con la tecnologia FinFET a 14 nanometri di Global Foundries. Come abbiamo sottolineato in occasione della prova delle CPU Ryzen 7, questa è la prima volta che Amd utilizza questa tecnologia per produrre un processore in quanto sino ad oggi si è avvalsa di quella a 28 nanometri. La scelta è stata pressoché obbligata in quanto Intel opera con questa tecnologia da diverso tempo e se Amd fosse rimasta ferma ai 28 nanometri avrebbe avuto vincoli troppo stringenti sul numero di transistor utilizzabili all’interno del die, sulle frequenze operative e sull’efficienza energetica complessiva del processore.
L’architettura Ryzen è un’architettura multi core che al suo interno è strutturata a partire da un modulo base denominato Core Complexes o CCX. Questo consta di quattro core assemblati tra loro in un unico gruppo e supportati da una cache di terzo livello (L3) da 8 Mbyte. Due moduli CCX sono quindi accoppiati in un singolo blocco all’interno del quale tutte le componenti sono connesse tra loro per mezzo della tecnologia Inifinty Fabric. Si tratta di un sistema di comunicazione basato su un insieme di bus, protocolli e controller con lo scopo di ampliare le potenzialità della precedente tecnologia Hypertransport.
Se nei processori Ryzen 7, Ryzen 5 e Ryzen 3 è presente un singolo die che permette di creare processori con un massimo di otto core fisici, nel caso dei processori Threadripper troviamo quattro die composti da due moduli CCX assemblati all’interno di un singolo e grande package; di questi die solo due sono operativi e utilizzati per ottenere una configurazioni da otto, dodici e sedici core fisici in grado di operare in modo simultaneo.
L’interno complesso dell’architettura si appoggia all’infrastruttura Infinity Fabric che permette lo scambio dati tra i diversi moduli CCX, con la memoria di sistema e con altri sistemi di controllo (Pci Express, I/O, ecc) presenti all’interno di Ryzen Threadripper così come dei processori Ryzen standard. Di fatto l’Infinity Fabric è un Hypertransport di tipo coerente alle quali sono state aggiunte funzionalità supplementari. A livello costruttivo l’Infinity Fabric è composto da due elementi: lo Scalable Data Fabric e lo Scalable Control Fabric. Il primo elemento è quello che fornisce l’ossatura per il trasporto delle informazioni ed è in grado di scalare da una capacità di trasmissione dati di 30 Gbyte/s fino a quella massima di 512 Gbyte/s. Il secondo elemento fornisce all’architettura potenti capacità di comando e di controllo attraverso un sistema di raccolta dati e di feedback in tempo reale dai sistemi di controllo integrati per valutare e intervenire sulle tensioni di alimentazione, sulle temperature, sui consumi, sulle frequenze operative e tanto altro ancora. Come vedremo più avanti lo Scalable Control Fabric è uno dei pilastri portanti per le funzioni raccolte all’interno della tecnologia Amd SenseMI.
Ciascun core è equipaggiato con una cache di primo livello (L1) – 64 Kbyte per le istruzioni e 32 Kbyte per i dati – e da una cache di secondo livello (L2) ampia 512 Kbyte. A differenza del passato, la cache di primo livello (L1) utilizzata nella microarchitettura Zen è di tipo write-back – come la cache di secondo livello (L2) – e non più di tipo write-through. Il meccanismo write-back prevede l’aggiornamento dei dati solo all’interno della cache e la scrittura in memoria solo quando necessario; tutto ciò permette di ottenere una latenza di accesso minore e una maggiore disponibilità di banda passante. La cache di terzo livello (L3) è, invece, del tipo victim cache: le informazioni in essa contenute sono quelle rimosse dalla cache di secondo livello (L2). In questo modo in caso di un mancato riscontro dei dati cercati dal core all’interno della cache di secondo livello viene eseguito un controllo all’interno della cache di terzo livello; se le informazioni cercate si trovano all’interno di quest’ultima il contenuto della zona della cache L3 viene scambiato con quello della cache L2. Qualora le informazioni non siano presenti nella cache L3 queste vengono recuperare e caricate nella cache L2, mentre il contenuto della zona della cache L2 viene spostato nella cache L3.
Poiché ciascun CCX dispone di quattro core e 8 Mbyte di cache L3, a ogni core è allocato un quantitativo di 2 Mbyte di cache L3, con la possibilità per ciascun core di accedere alla porzione di cache L3 degli altri core, sebbene con una leggera latenza aggiuntiva nell’accesso alle informazioni.
Sulla carta le cache L1 e L2 della microarchitettura Zen hanno prestazioni fino a due volte superiori a quelle di Bulldozer, mentre la cache di terzo livello (L3) ha prestazioni fino a cinque volte più veloci.
Come abbiamo già sottolineato in occasione del lancio dell’architettura Zen con i processori Ryzen 7, per ottenere ottenere un maggiore valore del parametro Ipc (Instructions per Clock), con Zen è stato abbandonato l’approccio CMT (Clustered Multi-Thread) utilizzato con l’architettura Bulldozer in favore della tecnologia SMT (Simultaneous Multi-Threading); questa permette a ogni core di eseguire due thread in simultanea come avviene, in modo simile, sui processori Intel dotati di tecnologia Hyper-Threading.
Per il momento ci fermiamo qui nell’analisi dell’architettura Zen e in particolare della sua implementazione nei processori Ryzen Threadripper, rimandandovi per tutti gli altri dettagli alla prova completa presente sul prossimo numero di PC Professionale che troverete in edicola all’inizio del mese di settembre.
Chipset X399 e socket TR4
Per poter utilizzare i processori Ryzen Threadripper è necessario impiegare una nuova generazione di schede madri dotate del chipset Amd X399 e del socket TR4. Per questa prima parte della nostra prova abbiamo impiegato la scheda madre Asus ROG X399 Zenith Extreme, ovvero l’ammiraglia delle piattaforme Asus per quanto riguarda le soluzioni Amd.
Questa scheda madre ospita il chipset Amd X399 e il socket TR4 o SP3 da 4.094 contatti che serve a ospitare i processori Amd Ryzen Threadripper. Per alimentare i nuovi processori Amd è necessario collegare un alimentatore dotato non solo del classico connettore Atx a 24 poli, ma anche di due connettori ausiliari a 8 poli; tutto questo serve per soddisfare la richiesta di potenza delle CPU Ryzen Threadripper che possono arrivare a consumare fino a 180 watt di potenza. A fianco del socket sono presenti otto zoccoli per l’installazione di moduli di memoria DDR4 – i processori Ryzen Threadripper 1950X e 1920X dispongono infatti di quattro canali di memoria – e uno slot Dimm.2 che può ospitare fino a due dischi NVMe in standard M.2.
Questa scheda madre è corredata di quattro slot Pci Express 3.0 in formato x16 ai quali si affiancano uno slot Pci Express 3.0 in formato x4 e uno in formato x1. Oltre allo slot Dimm.2 che permette di ospitare una modulo per l’installazione di due dischi, sotto al dissipatore del chipset è nascosto uno zoccolo M.2 dove è possibile installare un altro disco M.2 in standard NVMe; la Zenith Extreme è corredata comunque di sei porte Sata III e di una porta U.2 per offrire la più ampia libertà nella scelta nella configurazione del sottosistema di archiviazione. Non manca una batteria di porte Usb 3.0 e Usb 2.0, mentre per quanto riguarda le connessioni di rete è presente sia una porta Ethernet di classe Gigabit sia una scheda di rete aggiuntiva con controller di classe 10 Gigabit.
La Zenith Extreme supporta inoltre la tecnologia Asus Aura e implementa il comparto audio SupremeFX.
Un assaggio delle prestazioni
Come via abbiamo detto da oggi è possibile pubblicare non solo tutti i dettagli tecnici dei processori Ryzen Threadripper, ma anche le prestazioni che i modelli 1950X e 1920X sono in grado di fornire. Solo più avanti sarà possibile parlare anche del modello 1900X già previsto nella roadmap di Amd, ma in arrivo solo nelle prossime settimane.
Come si comportano quindi i Ryzen Threadripper sul fronte delle prestazioni reali? Come di consuetudine abbiamo eseguito un’intera batteria di test per rilevare il comportamento di questi processori in diversi scenari di utilizzo. Oggi vi presentiamo un estratto dei primi risultati; non si tratta ancora di quelli definitivi in quanto sia Amd sia Asus stanno fornendo continui aggiornamenti per quanto riguarda il software Ryzen Master e il Bios della scheda madre. Ogni aggiornamento richiede l’esecuzione completa di un nuovo set di misurazioni per verificare se è presente una variazione effettiva e significativa delle prestazioni (tanto in positivo quanto in negativo).