Gionee è un’azienda cinese produttrice di smartphone, fondata nel 2002, che nel tempo ha conquistato una buona fetta del mercato asiatico. Nel 2012 aveva un market share del 4,7% nella sola Cina, che si traduce in decine e decine di milioni di unità vendute. Ha avuto un discreto successo anche in Italia, con diversi modelli venduti su Amazon a prezzi molto concorrenziali, per non dire stracciati.
La gestione finanziaria a un certo punto è diventata molto “allegra”, con il fondatore Liu Lirong accusato nel 2018 di aver sperperato più di 144 milioni di dollari in scommesse e nei casinò. Nel dicembre dello stesso anno la compagnia ha dichiarato bancarotta. Ora, nel periodo che va da quella data a fino a ottobre 2019, è stato appurato che Gionee ha infettato 20 milioni di propri smartphone con un malware contenuto in un aggiornamento dell’app Story Lockscreen.
Gli smartphone uscivano dalla fabbrica puliti, ma nel momento in cui gli utenti effettuavano gli aggiornamenti software, si ritrovavano un trojan basato su Dark Horse che mostrava contenuti pubblicitari non richiesti. Questa pratica ha permesso a Gionee di racimolare illegalmente circa 4,2 milioni di dollari. Un tribunale cinese ha condannato quattro manager di una delle sussidiarie di Gionee, la Shenzhen Zhipu Technology, a pene variabili fra 3 e 3,5 anni di carcere e a multe di circa 30.000 dollari. Precisiamo che l’attuale detentore su licenza del marchio Gionee, l’indiano Jaina Group, non ha nulla a che fare con la vicenda.
Quella degli smartphone infettati da malware in modo consapevole dai produttori non è una novità, anche se potrebbe essere visto come un problema meno rilevante rispetto alla quantità e pericolosità di certe app circolanti sul Play Store di Google. È però un comportamento molto più riprovevole, perché nasce dalla volontà di interi consigli di amministrazione e non da un singolo sviluppatore poco onesto.