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Foto da esposizione

Marco Martinelli | 1 Febbraio 2017

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  A livello consumer la stampa fotografica viene generalmente associata al “piccolo formato”, che spazia dal tradizionale 10 x 15 […]

 

A livello consumer la stampa fotografica viene generalmente associata al “piccolo formato”, che spazia dal tradizionale 10 x 15 cm fino all’A4, il massimo consentito dalle normali unità  inkjet e di gran lunga il più comune scelto per esporre le proprie immagini preferite. Esiste però una fascia di mercato intermedia, tra l’amatoriale e il professionale, di periferiche definite comunemente prosumer e costituita da unità  in grado di gestire anche i formati A3 e A3+. Si tratta di soluzioni ideali per produrre copie da esposizione dal costo ancora più che accettabile, non solo per il professionista che destina il proprio lavoro alla vendita ma, soprattutto, anche per l’utente evoluto che necessita di uno strumento economicamente accessibile per lavorare in completa autonomia e poter gestire l’intero flusso di stampa anche nel grande formato.

di Marco Martinelli

ICON_EDICOLAL’A3 è esattamente il doppio dell’A4, per cui un foglio misura 29,7 x 42 centimetri, mentre l’A3+ (supportato praticamente da tutte le periferiche A3) estende i margini del foglio fino a 32,9 x 48,3 cm, o 13 x 19 pollici tradotti nelle unità  anglosassoni. Avere a disposizione una stampante in grado di lavorare su queste misure comporta tutti i vantaggi delle comuni inkjet A4, più la possibilità  di produrre copie di grandi dimensioni che si può rivelate utile non solo in ambito fotografico ma anche nell’utilizzo comune, come per esempio nella stampa di brochure, grafici, mappe o disegni tecnici. In questo contesto ci siamo comunque focalizzati su due unità  a vocazione fotografica predominante, equipaggiate con set di inchiostri estesi e specifici, ottimizzati per assicurare la massima resa con le immagini su carte speciali lucide, semilucide e opache, nonché su supporti speciali destinati all’esposizione museale o all’archiviazione, che ricadono sotto la definizione generalizzate di carte fine Art.

Carta e inchiostro

È opportuno ricordare come il binomio carta e inchiostro rappresenti, più che mai in questo ambito, un elemento essenziale per raggiungere la resa ottimale: ai due fattori primari costituiti dalla risoluzione (densità  di punti trasferiti sulla carta) e dalla profondità  colore (quantità  e qualità  delle sfumature), si aggiunge l’esigenza di disporre di un set d’inchiostri formulato per garantire stabilità  nel tempo, un ampio gamut, colori realistici e neutralità  dei grigi. Tutti elementi che dipendono in buona parte dall’interazione chimico/fisica con i supporti, ragion per cui ciascun produttore propone nel proprio catalogo più linee di carte fotografiche speciali studiate e realizzate per assicurare risultati perfetti con i propri inchiostri, non solo in termini di qualità  ma anche – e soprattutto – per quanto riguarda la stabilità  e la longevità  delle stampe.

Naturalmente i professionisti e gli utenti evoluti non limitano le proprie scelte agli abbinamenti vincolati del produttore, ma tendono a sperimentare soprattutto nell’ambito dei supporti speciali: il mercato offre infatti una vasta scelta di prodotti di terze parti, spesso di qualità  (e costo) comparabile se non addirittura talvolta superiore al cosiddetto originale. In questi casi, prima di avventurarsi in sperimentazioni varie è opportuno conoscere almeno l’aspetto fondamentale che contraddistingue gli inchiostri, ovvero il tipo di formulazione che può essere dye oppure a pigmenti. In estrema sintesi, gli inchiostri del primo tipo si caratterizzano per la presenza di molecole di agente colorante che si dissolvono completamente in acqua creando una soluzione stabilmente omogenea, mentre nel secondo caso le molecole sono insolubili poiché incapsulate in una resina protettiva idrorepellente e pertanto si disperdono in acqua come granelli di sabbia.

Queste caratteristiche determinano un diverso comportamento sui supporti: l’agente colorante dei dye penetra nella carta, mentre con i pigmenti il supporto assorbe solo il liquido vettore, mentre le particelle di colorante si fissano sulla superficie o al massimo nello strato più esterno. In virtù della loro natura chimico fisica, i pigmenti sono impermeabili all’acqua e resistenti all’aggressione di agenti esterni quali luce e gas inquinanti, pertanto mantengono le stampe inalterate per decenni; di contro, a causa della forma più irregolare e della tendenza a depositarsi sulla superficie del foglio sottraggono luminosità  alla carta generando uno strato riflettente meno uniforme e con colori appena meno brillanti, fenomeno ovviamente più visibile sui supporti di stampa fotografici lucidi ed extralucidi. Al contrario, gli inchiostri dye generano stampe dalla superficie riflettente più omogenea e brillante, ma sono anche meno stabili e i colori tendono a subire maggiormente l’azione usurante del tempo e dell’esposizione a luce, umidità  e agenti atmosferici.

Va comunque notato che nel corso degli anni ciascun produttore ha affinato entrambe le categorie di inchiostri, al punto che attualmente le differenze sono molto meno accentuate rispetto al passato sia in termini di resa qualitativa sia di longevità : è bene ricordare infatti come, in condizioni di conservazione o esposizione ottimale (per esempio, sotto vetro, evitando la luce diretta del sole e in ambienti a temperatura e umidità  stabili) la durate delle stampe odierne sia comunque quantificabile in tempi decisamente lunghi, in ogni caso nell’ordine di almeno alcune decine di anni.

I modelli in prova

Le stampanti in prova adottano entrambe le tipologie di inchiostri: per la Pixma Pro-100S Canon ha scelto un set di otto cartucce con consumabili dye, mentre per la SureColor SC-P400 Epson ha invece optato per un set a sette colori a base di pigmenti più un’ulteriore cartuccia riservata allo speciale Gloss Optimizer aggiunto proprio per ottimizzare la finitura lucida: nelle pagine seguenti potete trovare l’analisi completa delle unità  e dei risultati delle prove di stampa ottenuti con supporti fotografici di vario tipo, incluse le cosiddette carte Belle Arti o Fine Art.
Si tratta di supporti speciali di elevatissima qualità  (e costo proporzionato), disponibili in un’ampia selezione di grammature, trame e finiture (cartoncini o tele lisce e ruvide, con tonalità  di bianco fredda, naturale o calda e finitura superficiale opaca, satinata, perlata, testurizzata), che secondo la classificazione più intransigente dovrebbero essere costituite al 100% in fibra di cotone pressata a caldo o a freddo, prive di lignina (il collante che lega le cellule del legno), acidi, cloro e di additivi chimici che amplificano la riflettanza della carta per intensificarne la bianchezza alla luce, noti come sbiancanti ottici (optical brightening agent o Oba). Poiché tali supporti sono prevalentemente destinati a stampe da esposizione, incluso l’ambiente museale, l’aspetto della longevità  assume un’importanza fondamentale: secondo i test d’invecchiamento accelerato condotti dal laboratorio indipendente Wilhelm Imaging Research (www.wilhelm-research.com), nelle classiche condizioni di esposizione in museo, ovvero con livello d’illuminamento di 450 lux per 12 ore al giorno alla temperatura costante di 24° C e con tasso di umidità  relativa del 60%, la durata stimata delle stampe eseguite con inchiostri pigmentati sulle migliori carte per Fine Art raggiunge e supera il secolo prima di manifestare segni percepibili di sbiadimento (definito come una riduzione di almeno il 20% della densità  ottica degli inchiostri) o squilibrio cromatico (sbilanciamento del 12-18% tra le tinte base ciano, magenta e giallo, dovuto al disomogeneo grado di sbiadimento nel tempo dei diversi colori). (…)

Estratto dal numero 311 di febbraio 2017 di PC Professionale