Facebook – Cambridge Analytica: più si scava a fondo e più si scopre che è solo la punta di un enorme iceberg. Che gli 87 milioni di profili forse sono molti, molti di più. E che Cambridge Analytica è in buona compagnia. È di fine aprile la notizia che LocalBox, un servizio di data business, avrebbe creato almeno 48 milioni di profili semplicemente analizzando i contenuti online “pubblici” di servizi web come Facebook, Twitter e Linkedin.
Potrebbe sembrarvi assurdo, ma viste le cifre in gioco la domanda da porsi non è “perché lo fanno?” ma è “perché non dovrebbero farlo?”. Data is the new oil è il mantra che continuano a ripeterci. I dati sono il nuovo petrolio. E noi generiamo questo “petrolio” costantemente: secondo le stime di IBM ogni giorno “produciamo” 2,5 exabyte di dati (ovvero 2,5 x 1018 byte). E più di due terzi (il 68%) sono dati che “parlano” di noi. E allora perché ci stupiamo se qualcuno “estrae” tutto quest’oro nero? È come se al mattino, andando al lavoro, seminassimo soldi per la strada e la sera al ritorno ci stupissimo di non trovarli più. L’occasione fa l’uomo ladro (anche di dati).
Che poi il vero “problema” non è tanto nella profilazione, quanto nelle finalità di utilizzo e nell’accuratezza di questa profilazione. Alla fin fine lo “scandalo” Cambridge Analytica non ha mostrato altro che l’ovvio: se fornite a qualcuno abbastanza informazioni (o ancora meglio, completate dei questionari studiati ad hoc) sarà in grado di conoscervi a fondo. Un’involontaria base di partenza per Cambridge Analytica sono stati gli studi di psicometria di Michal Kosinski e il modello matematico che ha creato basandosi semplicemente sui like che mettiamo su Facebook. Con una decina di like, il modello vi “conosce” tanto quanto i vostri colleghi dell’ufficio, con 70 like quanto i vostri amici, con 150 quanto i vostri genitori e con 300 vi conosce come la vostra compagna / compagno. E con un numero maggiore di like l’algoritmo potrebbe conoscervi addirittura meglio di voi stessi. A una media di dieci like al giorno, in un mese di tempo è possibile avere un profilo accuratissimo di una persona.
Certo, i dati estrapolati da Cambridge Analytica provenivano – in parte – da profili che non avevano autorizzato in modo esplicito l’accesso, ma ci sono aziende – in primis la stessa Facebook – che sono autorizzate ad avere il pieno controllo dei vostri dati. Quello che possono fare con la profilazione è un altro paio di maniche: in un’ipotetica scala di “gravità”, dallo scalino più basso a quello più alto ci sono società che vi profilano per prevedere le vostre necessità (pensiamo a Netflix), poi ci sono quelle che vi profilano per “guidarvi” nell’acquisto (come Amazon) e sopra quelle che, in cambio di un servizio gratis, vi “vendono” alla pubblicità (come Facebook). Infine, c’è chi usa la profilazione per – testuali parole di Cambridge Analytica – “modificare il comportamento dell’opinione pubblica”.
Come in tutti i settori, non esistono strumenti intrinsecamente “buoni” o “cattivi”, ma esiste un modo “buono” o “cattivo” di usarli. Insomma, i big data sono una grandissima opportunità. E un grandissimo rischio.