I nuovi dispositivi Wi-Fi 802.11n sfruttano appieno la terza antenna per portare il limite teorico di velocità a 450 Mbps. Le prestazioni reali? Scopriamole assieme con la prova di cinque router di ultima generazione.
di Simone Zanardi
Uno dei motivi per cui le reti locali senza fili hanno conquistato il mercato negli ultimi dieci anni è stata la presenza di uno standard consolidato che ha fornito ai produttori, e quindi agli utenti, una piattaforma tecnologica comune e permesso a migliaia di dispositivi, anche molto diversi tra loro, di comunicare senza difficoltà . All’inizio si trattava di personal computer, poi di stampanti e altri apparati di rete, quindi di smartphone, tablet e persino elettrodomestici. Oggi il termine Wi-Fi è di fatto un sinonimo di Wlan (Wireless Local Area Network), ma all’interno di questa grande famiglia non mancano sotto-standard e specifiche differenti.
Prima ancora di affrontare questo discorso è importante sottolineare una sottile ma sostanziale precisazione: il termine Wi-Fi identifica un marchio della Wi-Fi Alliance che garantisce l’aderenza dei prodotti wireless a determinate specifiche e quindi l’interoperabilità tra dispositivi prodotti da case differenti. Gli standard veri e propri su cui si basano le reti wireless locali sono invece emanati dall’IEEE (Institute of Electrical and Electronic Engineers) e identificati dalla sigla 802.11.
Esistono diversi standard 802.11. Una prima distinzione può essere fatta tra le specifiche di differente generazione che si susseguono nel corso degli anni. Così, il primo standard di successo commerciale in Europa è stato l’802.11b, affermatosi all’inizio del nuovo millennio e che offre velocità di punta di 11 megabit al secondo.
Nel 2003 è stata la volta dell’802.11g, che ha alzato la soglia di velocità a 54 Mbps, mantenendo la retro-compatibilità con i dispositivi di generazione precedente. Dopo un lungo periodo di attesa per le specifiche definitive, nel 2009 è stato approvato l’attuale standard 802.11n che, sino a qualche mese fa, identificava prodotti in grado di raggiungere velocità massime teoriche di 300 Mbps.
In realtà le specifiche 802.11n definiscono schemi di trasmissione differenti, in grado di alzare la soglia massima di velocità a 600 megabit al secondo. In parole povere, i prodotti 802.11 a 300 Mbps non sfruttano lo standard al massimo delle sue potenzialità , come vedremo tra poco nel dettaglio.
Un’altra importante distinzione tra gli standard 802.11 riguarda le frequenze utilizzate per le trasmissioni: 802.11b, g ed n sfruttano infatti la banda 2,4 GHz, storicamente di libero uso in Europa e quindi da subito adottata dall’IEEE per evitare il sistema di licenze che avrebbe ostacolato il mercato. In America contemporaneamente all’802.11b è stato invece lanciato lo standard 802.11a, che si basa sulle frequenze nell’intorno dei 5 GHz. Questa porzione di spettro non era inizialmente utilizzabile in Italia ed in altre nazioni e quindi non è stata adottata. In seguito i 5 GHz sono stati liberalizzati anche nel nostro Paese e così sono stati distribuiti anche da noi i primi prodotti a 5 GHz. Oggi molti dispositivi 802.11n possono operare nella cosiddetta modalità dual-radio, ovvero sia a 2,4 che a 5 GHz.
Oltre i 300 Mbps
Sin dai tempi delle prime specifiche non ufficiali, lo standard 802.11n ha adottato una serie di tecniche atte ad incrementare le prestazioni delle reti locali senza fili, non solo dal punto di vista della velocità , ma anche da quella della portata del segnale radio. Una delle innovazioni più importanti è stata l’introduzione delle modalità di trasmissione Mimo (Multiple Input Multiple Output), che sfruttano più antenne in trasmissione e ricezione per massimizzare le performance.
Gli apparati Mimo sono utilizzati dalle reti 802.11n in più modi: attraverso il beam forming (modellazione del raggio) si ottimizzano le trasmissioni verso determinate direzioni nelle quali è rilevato il ricevitore, la ricezione in diversità permette di incrementare la portata sfruttando a proprio vantaggio i cammini multipli delle onde radio dovuti alle riflessioni delle medesime sulle superfici che ostacolano la comunicazione in ambienti chiusi. Lo Spatial Division Multiplexing (Sdm), infine, incrementa la velocità massima di trasmissione suddividendo i dati in flussi che vengono trasmessi indipendentemente sul canale radio e poi ricostruiti a destinazione.
Quest’ultima tecnica richiede un’antenna per ogni flusso, sia dal lato della trasmissione che da quello della ricezione. Utilizzando al massimo le altre tecniche di modulazione, codifica e trasmissione messe a disposizione dallo standard, i prodotti 802.11n possono fornire sino a 150 megabit al secondo per ogni flusso Sdm utilizzato. I prodotti main stream diffusi sul mercato negli ultimi anni sfruttano due flussi e quindi forniscono una velocità massima teorica di 300 Mbps; allo stesso modo, i modelli più economici utilizzano un unico flusso, fermandosi a 150 Mbps.
I nuovi dispositivi come quelli provati in questa rassegna alzano la soglia di velocità a 450 Mbps proprio sfruttando tre flussi. Lo standard prevede al massimo l’utilizzo di quattro flussi, da cui la velocità massima di 600 Mbps, non ancora implementata da dispositivi in commercio.
Il numero di flussi utilizzabili dagli apparati non dipende solo dal numero di antenne, ma anche dall’apparato radio che le gestisce. Ne deriva che non tutti i prodotti dotati di tre antenne possono gestire tre flussi. Lo standard 802.11 prevede una notazione sintetica per indicare le capacità di trasmissione in questo ambito: a x b : c, dove a indica il numero di antenne utilizzabili in trasmissione, b quello delle antenne sfruttabili in ricezione e c la quantità di flussi Sdm indirizzabili. (…)
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Come abbiamo effettuato le prove
Per analizzare le prestazioni dei router in prova ci siamo avvalsi come di consueto di IPerf (https://sourceforge.net/projects/iperf/), un benchmark che simula il trasferimento di dati su protocollo Tcp/IP per registrare il throughput, ovvero la velocità di comunicazione effettiva disponibile alle applicazioni.
I test sono effettuati utilizzando due personal computer: il primo è collegato al router in esame tramite cavo, sfruttando quindi l’interfaccia Gigabit Ethernet; il secondo utilizza invece il collegamento wireless e viene collocato in diverse postazioni per registrare le performance al variare della distanza tra access point e client. Quest’ultimo è basato sulla piattaforma Intel Intel WiFi Link 5300 AGN, uno dei primi apparati certificati per le comunicazioni wireless a 450 megabit al secondo. Entrambi i personal computer utilizzati operano con sistema operativo Windows 7 Professional a 32 bit.
Il nuovo ambiente di test che abbiamo approntato per i dispositivi Wi-Fi prevede quattro postazioni di prova: la prima (A) colloca il client a 5 metri dal router e non prevede alcun ostacolo frapposto tra i due apparati radio. Nella seconda posizione (B) la distanza lineare resta di 5 metri, ma in questo caso il client è collocato al piano inferiore rispetto all’access point, e quindi tra i due terminali vi è la soletta dell’edificio. Per le prove in postazione B non abbiamo volutamente modificato l’orientamento delle antenne dell’access point, lasciandole in posizione verticale sui router con terminali esterni.
La terza postazione (C) porta il client wireless a 10 metri circa dall’access point. In questo caso i due dispositivi tornano sullo stesso piano, ma sono collocati in due locali adiacenti e tra di essi si trovano due pareti non portanti. Nell’ultima posizione (D), la distanza tra gli apparati sale a 20 metri, e inoltre in linea d’aria tra di essi si frappongono due pareti portanti e una terza non portante.
Tutti i test si sono svolti con crittografia Wpa2/Aes abilitata e in modalità “802.11n only” quando disponibile. Per ognuna delle postazioni di prova abbiamo lanciato una sessione di trasferimento della durata di 180 secondi, riportando i risultati a intervalli di 5 secondi.
In questo modo oltre alla throughput medio è possibile evidenziare la stabilità della banda a disposizione. Per saturare il canale abbiamo impostato IPerf in trasmissione dati su due flussi paralleli. (…)
Estratto dal numero 251 di febbraio 2012 ora in edicola