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Editoriale | Magazine

La schedatura digitale

Dario Orlandi | 27 Luglio 2017

Editoriale

Chiunque navighi su Internet è ormai abituato all’idea che le sue attività  siano monitorate; la grande maggioranza dei servizi è […]

Chiunque navighi su Internet è ormai abituato all’idea che le sue attività  siano monitorate; la grande maggioranza dei servizi è offerta senza alcun pagamento, e la cessione di una piccola parte delle informazioni personali sembra un piccolo sacrificio per poter utilizzare una casella di posta elettronica evoluta, o per aprire un account in uno dei grandi social network. Ma la cessione di quote della privacy sta per avere un impatto più profondo sulla società , come è stato ben sottolineato da un lungo report del ricercatore e attivista austriaco Wolfie Christl, pubblicato sul sito Cracked Labs.

Dal report emerge come gli utenti di Internet non abbiano la percezione della reale potenza insita nella raccolta sistematica dei loro dati di navigazione: basta analizzare i Mi piace su Facebook per prevedere con un’ottima precisione (oltre l’80%) molte informazioni sensibili sugli utenti, tra cui il sesso, la provenienza etnica, l’orientamento sessuale, la religione e le opinioni politiche. Dati che nessun provider si sognerebbe di richiedere in modo diretto, ma non perché sia sconveniente o illegale; semplicemente, non ne ha bisogno. Queste informazioni non interessano soltanto i pubblicitari; i settori più promettenti per chi raccoglie, analizza e vende i dati personali sono il credito, le assicurazioni e la salute. Alcune aziende stanno sviluppando algoritmi per calcolare l’affidabilità  debitoria sulla base dei soli tabulati telefonici; e presentano i loro servizi come strumenti di monetizzazione per gli operatori di telecomunicazioni.

Ci stiamo muovendo a grandi passi verso una società  in cui gli individui saranno costantemente analizzati, categorizzati e classificati; sulla base di queste valutazioni potranno accedere al credito, alle assicurazioni e alle cure mediche, oppure rimanerne esclusi. Lo scenario è fosco, perché il livello di uguaglianza tenderà  a diminuire, e le discriminazioni su base personale saranno sempre più evidenti. Si può solo sperare in una presa di coscienza forte da parte dell’opinione pubblica, che porti a una pressione sui governi nazionali e sulle organizzazioni sovranazionali (per esempio l’Unione Europea) tale da spingere i legislatori a regolamentare la raccolta dei dati in modo molto più restrittivo. E se questo causerà  la sparizione qualche servizio oggi gratuito, sarà  davvero un piccolo prezzo da pagare.