In un mercato perennemente a rischio di saturazione, i grandi produttori presentano i loro modelli “green”, progettati per rispettare l’ambiente e abbattere i consumi.
di Nicola Martello
L’impiego dei monitor Lcd nel mondo dei computer è praticamente universale, la produzione di questi display viaggia su volumi molto elevati (milioni di pezzi) e la loro tecnologia ha raggiunto la maturità da parecchio tempo. La dimensione dei monitor consumer si è per ora stabilizzata intorno ai 21 – 24 pollici, la risoluzione standard è 1.920 x 1.080 pixel (Full HD), il design è raffinato. Cosa manca a questo elenco di caratteristiche? In quale campo i produttori posso darsi battaglia per conquistare nuovi clienti? Ma nell’eco-compatibilità , ovvero nella creazione di display che non siano solo belli ma anche rispettosi dell’ambiente, sia per il consumo elettrico sia per l’impiego dei materiali. In attesa dei tanto sospirati Oled è dunque questa l’onda da cavalcare: le aziende produttrici sono finalmente diventate sensibili ai temi dell’ecologia e hanno preso a sfornare nuovi monitor che vantano consumi ridotti, materiali privi di elementi dannosi e sono facili da smaltire nelle discariche. Sono infatti questi i tre punti messi in risalto dalle pubblicità . Grazie all’impiego dei Led invece delle tradizionali lampade fluorescenti Ccfl (Cold Cathode Fluorescent Lamp) e a una sezione elettronica meno assetata di energia il carico elettrico si riduce sensibilmente. I materiali usati sono privi delle sostanze più inquinanti bandite dalla normativa RoHS (come mercurio e piombo) e lo smaltimento a fine vita del monitor è facilitato grazie all’impiego di materie riciclabili e a una costruzione che consente un facile smontaggio delle diverse parti. A queste caratteristiche aggiungiamo anche un altro punto molto importante: l’eco-sostenibilità del processo produttivo. Se infatti per costruire un monitor che consuma pochissimo e che è riciclabile al 100% è necessaria un’attività costruttiva che spreca un sacco di energia e inquina in maniera grave il territorio, diventa veramente difficile sostenere che tale display è eco-compatibile.
Quindi per giudicare il grado di rispetto dell’ambiente di un monitor (o di qualsiasi altro manufatto prodotto e usato dall’uomo) è necessario prendere in considerazione tutte le operazioni collegate all’oggetto, dalla sua costruzione in fabbrica alla sua distruzione in un impianto di riciclo e smaltimento. Il problema per l’acquirente sensibile a questi temi è come fare a sapere in che misura il display risponde ai più recenti criteri di eco-compatibilità . Oggettivamente è impossibile conoscere quanto è inquinante la fase produttiva: scartando l’idea di fare gite turistiche nelle fabbriche in Giappone, Corea del Sud e paesi limitrofi, è però possibile consultare i siti degli enti internazionali che curano le normative anti-inquinamento, in cui spesso sono elencati i nomi delle aziende partecipanti e quindi più sensibili all’ecologia. Più facile è verificare il rispetto delle normative e i consumi, dato che basta cercare nel manuale i logotipi Energy Star, RoHS ed Epeat (idealmente Gold) e il valore dichiarato di energia elettrica assorbita. A proposito di quest’ultimo dato, nelle nostre prove abbiamo constatato che si tratta di un’informazione veritiera, in alcuni casi addirittura molto conservativa.
Infine, quando è giunto il momento di liberarsi del vecchio schermo non bisogna certo buttarlo nel bidone della spazzatura ma piuttosto portarlo in un negozio che ne segua lo smaltimento oppure direttamente nelle discariche comunali attrezzate per la separazione dei rifiuti. Dal 2008, infatti, è in vigore il Decreto Legge 151, che obbliga i negozianti che vendono dispositivi elettronici ed elettrici a ritirare e a provvedere allo smaltimento dei vecchi prodotti (Raee, Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) quando il cliente ne compra uno nuovo. Proprio per sostenere i costi di questa operazione, su tutti gli articoli in commercio è applicata una maggiorazione, che varia a seconda del tipo di prodotto e del suo peso.
(Estratto dall’articolo pubblicato sul numero 235 – ottobre 2010)