Il successo dei led bianchi come fonte di illuminazione è, letteralmente, davanti ai nostri occhi. Sono infatti presenti dietro ogni pannello Lcd (Tv, monitor di computer, display di smartphone e tablet), nelle lampadine più recenti delle nostre case, nei fari di molti veicoli o, ancora, nei sistemi di illuminazione di luoghi pubblici come strade e negozi. I motivi alla base di questa diffusione così capillare risiedono nelle dimensioni molto ridotte (una caratteristica importante per gli schermi Lcd) e soprattutto nel consumo energetico molto ridotto e sensibilmente più basso rispetto a quello di altre sorgenti luminose.
di Michele Braga e Nicola Martello
A parità di luce emessa, infatti, un led consuma circa sei volte meno di una lampadina a incandescenza tradizionale, cinque volte meno di una sorgente alogena e due volte meno di una lampada fluorescente a risparmio energetico. Il costo delle lampadine led è molto più elevato di quelle tradizionali, ma il risparmio di energia elettrica e la lunga durata – da 15.000 a 20.000 ore invece di poche migliaia delle lampadine tradizionali – rendono comunque conveniente il loro impiego.
Dal punto di vista tecnologico i led pongono anche sfide a livello costruttivo in quanto emettono fotoni in un intervallo di lunghezze d’onda molto ristretto e di conseguenza la luce che ne risulta è sempre colorata e mai bianca. Un led, a seconda del tipo di materiale utilizzato per la sua costruzione – denominato materiale attivo – può infatti generare solo luce blu, verde, rossa, gialla o di altri colori ancora. Per ottenere una luce bianca – composta da differenti colori mescolati insieme – è possibile utilizzare diversi sistemi: accoppiare led di colore diverso oppure adoperare differenti tipi di fosfori o di quantum dot che intercettano e convertono parte della luce emessa da un led blu (o ultravioletto) in altri colori.
Come vedremo meglio in seguito, l’impiego dei quantum dot è una soluzione costosa così come l’utilizzo di più led di colore diverso (normalmente rosso, verde e blu); in quest’ultimo caso è necessaria anche una calibrazione cromatica periodica delle sorgenti luminose per ottenere una luce bianca corretta. Di contro i fosfori sono una soluzione più economica, ma che può costringere a qualche compromesso; se, ad esempio, si usa il solo fosforo giallo eccitato dalla luce blu generata da un led dedicato (la luce costituita dalle componenti blu e gialla appare bianca ai nostri occhi) il risultato sarà una luce bianca non di ottima qualità a causa della presenza di dominanti di colore.
Tuttavia, grazie a nuovi fosfori che sono stati studiati e sintetizzati in questi ultimi anni è possibile creare led bianchi che emettono luce di ottima qualità , che ha poco da invidiare a quella generata dalle altre soluzioni più complesse e costose. Tutto ciò perché questi fosfori di nuova generazione sono efficienti nella conversione luminosa e offrono una buona resa cromatica senza dover rinunciare al basso costo di produzione. Nella letteratura tecnica questi led ricoperti da fosfori (gialli o di altri colori) sono chiamati PcLed, acronimo di phosphor converted led.
La configurazione più classica di queste soluzioni – composte da un led blu e da fosfori – prevede che il diodo luminoso sia ricoperto interamente dal fosforo; questo è costituito da una polvere immersa in un legante liquido a base siliconica che viene asciugato una volta spruzzato sul led.
Questo metodo di costruzione è piuttosto semplice dal punto di vista della realizzazione, ma non è in grado di garantire una perfetta uniformità della sostanza attiva sulla superficie del diodo che, quindi, apparirà di colore leggermente diverso a seconda dell’angolazione da cui lo si osserva. A ciò si aggiunge il fatto che il fosforo, quando è posto a contatto diretto con il diodo, può deteriorarsi velocemente a causa del calore sviluppato dal led, calore che può superare la temperatura di 150°C. Per eliminare la mancanza di uniformità e ridurre l’esposizione alle alte temperature, si preferisce sempre più spesso di applicare i fosfori sotto forma di lastrine, fisicamente separate dal led vero e proprio e fissate in cima al piccolo riflettore che circonda il diodo e che ne convoglia la luce. Una soluzione ancora più radicale consiste nel depositare il fosforo su un supporto più lontano (fosfori remoti): nel caso delle lampadine il composto attivo è steso sulla superficie interna del bulbo opalino.
Nelle unità di retroilluminazione dei pannelli Lcd, invece, i fosfori sono disposti in sottili strisce che corrono parallele davanti alle file di led allineate lungo i due bordi maggiori dei display (configurazione led edge). Con questi sistemi i fosfori risentono molto poco del calore sviluppato dalla sorgente luminosa in quanto sono molto più lontani dai diodi.
In queste pagine vi presentiamo una carrellata sulle attuali tecnologie disponibili per produrre luce bianca con i led, evidenziandone vantaggi e svantaggi. Prima di addentrarci nell’argomento vediamo come sono fatti e come funzionano i diodi luminosi, per poi esplorare le caratteristiche principali dei diversi tipi di fosfori adatti a lavorare con i led e utili a trasformare i fotoni con lunghezza d’onda nel blu o nell’ultravioletto in luce di diverso colore, in particolare verde e rossa. (…)
Estratto dal numero di marzo 2016 di PC Professionale