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Editoriale | Magazine

L’insostenibile leggerezza della sharing economy

Eugenio Moschini | 3 Novembre 2016

Editoriale

L’idea, alla base della sharing economy, è geniale quanto semplice: ho un bene di cui faccio un uso parziale, o […]

L’idea, alla base della sharing economy, è geniale quanto semplice: ho un bene di cui faccio un uso parziale, o addirittura nullo, e lo condivido con gli altri. In una “economia collaborativa” tutti – sulla carta – ci guadagnano: chi offre e condivide, che ha comunque una spesa fissa da affrontare ma può avere un piccolo ritorno economico, e chi cerca e usufruisce, che paga un costo ridotto per un servizio “amatoriale”. E ci guadagna anche l’intero ecosistema, visto che con la condivisione si riducono gli sprechi e si ottimizzano le risorse. Su questo modello economico virtuoso sono nati molti servizi, spesso legati alle necessità  “base”: dormire (AirBnb), muoversi (BlaBlaCar e, in senso trasversale, Uber) e persino mangiare (Gnammo).

Se la sharing economy aveva, in teoria, nobili origini, l’uso (o meglio l’abuso) ha mostrato, nella pratica, intenti molto più plebei: non una condivisione amatoriale, ma spesso un servizio professionale “parallelo” agli equivalenti ufficiali. Con il vantaggio di non dover rispettare permessi o normative severe (come per alberghi e ristoranti) oppure di non dover pagare licenze di ingresso (come per i taxi). Un altro “plus” è che, sfruttando una legislazione lacunosa, molto spesso questi servizi possono essere erogati in “nero”, con introiti esentasse, o quasi. Da un semplice reddito integrativo per i singoli, alla fine la sharing economy è diventata un’attività  economica vera e propria per pochi. Le accuse di concorrenza sleale, mosse dalle associazioni di categoria, sono quindi più che comprensibili; e confronti spesso molto duri (come quello dei tassisti contro Uber) stanno portando a una situazione paradossale. Da un lato l’Europa spinge per lo sviluppo dell’economia collaborativa, dall’altro l’Italia, e non solo, frena, eliminando i servizi (come Uber) oppure fissando paletti talmente stringenti, per il “normale” utente, da bloccare di fatto il servizio.

La sharing economy è quindi morta? Ovvio che no, ma se la soluzione è questa, di sicuro verrà  ri-dimensionata. E, a perdere, saremmo tutti noi.