Un universo sconosciuto a portata di obiettivo. La fotografia a distanza ravvicinata permette di analizzare e selezionare molti soggetti inusuali, che passano di solito inosservati.
di Valerio Pardi
La macrofotografia è indiscutibilmente la porta d’accesso per un mondo sconosciuto, quasi una sorta di universo parallelo sempre a portata di mano, o meglio, di obiettivo. Anche l’oggetto apparentemente più comune e insignificante può assumere, se viene analizzato da vicino, un aspetto completamente nuovo. Spesso si abbina l’idea di macro alla fotografia di fiori e insetti, ma con macro si identifica un certo genere di fotografia, non i soggetti che vengono ripresi. Si può fare la macro di un anello o del particolare di un occhio, così come di un bocciolo o un ritratto di un piccolo insetto. Per macro si fa coincidere quindi quel genere di fotografie che si realizzano a breve distanza dal soggetto, in modo da evidenziare i particolari più minuti e difficilmente visibili a occhio nudo.
La definizione di macrofotografia è piuttosto controversa. I testi storici di fotografia identificano il concetto di macrofotografia nella ripresa di un oggetto che abbia un rapporto di riproduzione compreso tra 1:10 e 1:1 sul piano focale, sia esso pellicola o sensore. Qualsiasi obiettivo di una reflex consente però di raggiungere almeno un rapporto di 1:10 sul piano focale; tale modesto ingrandimento è difficile considerarlo vera macrofotografia, si può parlare, al più, di fotografia a distanza ravvicinata.
Per convenzione, quindi, con macrofotografia si indica un’immagine con un rapporto di ingrandimento ben superiore, compreso normalmente tra 1:2 e 1:1, ovvero in cui le dimensioni del soggetto fotografato vengono riprodotto sulla superficie del sensore con dimensioni comprese da metà a quelle reali.
Infine, quando si supera il rapporto di 1:1, ovvero quando il soggetto ripreso ha dimensioni maggiori sul piano del sensore rispetto alle sue dimensioni reali, si può parlare di microfotografia. Ricapitolando, abbiamo fotografia a distanza ravvicinata quando si opera alla minima distanza di messa a fuoco di un obiettivo tradizionale, macrofotografia quando il rapporto di ingrandimento sul piano focale (sensore) si avvicina all’1:1 e, infine, microfotografia quando il rapporto di ingrandimento supera, abbondantemente, l’1:1.
Gli strumenti giusti
Appare evidente come non sia così immediato eseguire una fotografia macro. Se infatti provate a focheggiare alla minima distanza di messa a fuoco con il classico obiettivo zoom standard della reflex, vi accorgerete immediatamente che il soggetto, per rimanere correttamente a fuoco, viene a trovarsi a una distanza eccessiva per riuscire a scorgere i dettagli tipici di una macrofotografia. Anche se scegliete un teleobiettivo, pensando al maggior ingrandimento offerto da una focale più elevata, vi renderete conto che la distanza minima di messa a fuoco è proporzionalmente più elevata in questa classe di obiettivi. Il risultato dunque non cambia: le dimensioni del soggetto, alla minima distanza di messa a fuoco, sono complessivamente le stesse ottenute con l’obiettivo zoom standard.
Il primo ostacolo da superare è dunque quello relativo alla distanza di messa a fuoco. Per fare una macro occorre avvicinarsi al soggetto a una distanza inferiore alla minima offerta dal range di messa a fuoco delle ottiche standard. Prima di pensare a un’ottica specifica, vediamo quali alternative potete adottare per sfruttare a fondo la vostra strumentazione.
Lenti addizionali
La prima soluzione, per ridurre la distanza di messa a fuoco, può sembrare banale: applicare alla macchina fotografica un paio di “occhiali”, come se si trattasse di una persona che non è più in grado di leggere da vicino il giornale. Questa soluzione, che prende il nome di lente addizionale, è composta da una semplice lente positiva con un determinato numero di diottrie; in base al grado di correzione da applicare all’obiettivo sceglierete una lente (e quindi una diottria) diversa. Visto che le lenti addizionali consentono di diminuire la distanza minima di messa a fuoco dell’obiettivo, quest’ultimo è in grado di raggiungere un rapporto di ingrandimento più elevato.
Le lenti addizionali vanno avvitate sulla filettatura frontale dell’obiettivo, come se si trattasse di normali filtri. A differenza di questi ultimi, però, hanno una curvatura piuttosto evidente, curvatura che è fondamentale per variare l’inclinazione dei raggi incidenti all’obiettivo (e produrre così un maggiore ingrandimento in fase di ripresa).
La diottria indica la capacità di “avvicinare” il soggetto e determina l’ingrandimento massimo possibile. Una lente da +2 diottrie offre dunque un ingrandimento inferiore a una da +10 diottrie, ma, di contro, all’aumentare delle diottrie si ha anche un peggioramento della qualità dell’immagine. Infatti gli obiettivi non sono nativamente progettati per l’utilizzo con una lente addizionale e questo comporta un naturale leggero degrado qualitativo, soprattutto ai bordi, che cresce via via, all’aumentare delle diottrie della lente addizionale.
Senza addentrarsi in complicate formule matematiche – comunque facilmente recuperabili in un qualunque trattato dedicato alla fotografia o alla macrofotografia – vi segnaliamo inoltre che l’ingrandimento aumenta proporzionalmente alle diottrie delle lenti addizionali e alla lunghezza focale dell’obiettivo. In pratica l’ingrandimento maggiore lo avrete con lo zoom in posizione tele e con la lente addizionale dotata di diottria più elevata. Si possono anche utilizzare più lenti addizionali contemporaneamente; in questo caso la diottria complessiva è data dalla somma delle singole diottrie delle lenti, ma i risultati conseguibili sono spesso poco soddisfacenti a causa delle aberrazioni che vengono introdotte. Infine, esistono anche delle lenti addizionali più sofisticate, composte da un doppietto di lenti invece che da una singola lente. Grazie al contenimento delle aberrazioni questi modelli garantiscono risultati qualitativamente superiori, che spesso sono comparabili anche con i risultati offerti dalle più costose ottiche macro dedicate. (…)
Estratto dal numero 253 di aprile 2012