Nell’era della fotografia tradizionale basata su pellicola e carta, la finalità elettiva della ripresa era la stampa: il passaggio dall’analogico al digitale ha progressivamente e inesorabilmente mutato la tradizionale sequenza di scatto, sviluppo del negativo e stampa, relegando la maggior parte delle immagini catturate alla conservazione in supporti di memorizzazione di varia natura e alla visualizzazione su schermi di computer, telefonini e dispositivi multimediali vari. Tuttavia, il trasferimento su carta rimane ancora per molti versi l’elemento di valorizzazione assoluto di un’immagine, non solo in ambito professionale, ma anche per il consumatore medio, che si può avvalere per questo passaggio sia dei servizi esterni sia di periferiche di stampa domestiche.
di Marco Martinelli
Nello scorso numero di PC Professionale abbiamo passato in rassegna le caratteristiche di 12 fotolaboratori online, che offrono vantaggi tanto sul piano economico quanto in praticità quando si tratta di produrre copie in quantità , in formati non gestibili a livello consumer (ingrandimenti oltre l’A4) oppure su supporti particolari; ciò nonostante, l’impiego di una stampante fotografica personale consente di ottenere risultati immediati ma, soprattutto, di gestire l’intero processo di creazione dell’immagine, anche nella fase conclusiva e non meno delicata del trasferimento su supporto fisico.
In sostanza, quindi, se per ragioni economiche e di praticità conviene – nella maggior parte dei casi e a livello amatoriale – far realizzare le stampe fotografiche a servizi esterni specializzati, per ottenere un controllo personalizzato e accurato sull’intero processo di creazione delle immagini su carta è consigliabile affidarsi ad una periferica a getto d’inchiostro di qualità fotografica.
Il mercato attuale presenta un’ampia offerta di unità di stampa con capacità fotografiche, caratteristica enfatizzata pressoché in ogni prodotto ma che tuttavia non sempre corrisponde alla realtà dei fatti: la maggioranza delle inkjet consumer lavora infatti utilizzando soli quattro colori, adatti per la maggior parte delle stampe generiche ma insufficienti per garantire un livello di resa perfetto con le fotografie, che presentano sfumature e dettagli tali da richiedere inchiostri aggiuntivi ai consueti ciano, magenta, giallo e nero. In alcuni casi, il set di inchiostri standard è di tipo a formulazione mista, con i colori di tipo dye e il nero a pigmenti non utilizzato nella stampa fotografica, ma solo in quella di testo: in questa condizione pertanto il nero presente nelle foto viene ottenuto miscelando i tre inchiostri primari Cmy a base di coloranti, soluzione che in genere non consente di ottenere toni scuri profondi e ad alta densità . Le stampanti propriamente fotografiche adottano invece un set esteso di consumabili, composto da cartucce aggiuntive alla consuete quattro della quadricromia: le due unità di Canon ed Epson in prova nella pagina seguenti, per esempio, sono equipaggiate con sei cartucce, anche se seguono filosofie d’utilizzo completamente diverse.
Si tratta di multifunzione a spiccata vocazione fotografica, che svolgono le consuete attività tipiche delle unità di fascia alta e sono pertanto in grado di gestire documenti e immagini come qualsiasi stampante generica o da ufficio, ma che danno il meglio con la stampa fotografica raggiungendo risultati non consentiti alle altre periferiche di uso comune.
La peculiarità di spicco della Canon consiste nell’impiego di una speciale cartuccia di grigio che si aggiunge al nero fotografico e consente di ridurre la grana e ammorbidire le sfumature nella stampa a colori assicurando inoltre la neutralità in monocromatico; Epson invece adotta una soluzione più tradizionale affiancando i colori primari Cmyk con due inchiostri supplementari definiti comunemente light – ciano chiaro e magenta chiaro bassa densità – che generano gradazioni tonali più morbide e migliorano la definizione dei dettagli nelle aree alte luci (le zone più luminose delle immagini), dove la presenza di soli punti d’inchiostro a densità normale darebbe esiti più grossolani.
Pixel e punti
Fotocamere e stampanti inkjet lavorano con pixel e punti (dot), due entità fondamentali che vengono spesso impropriamente scambiate partendo dall’erroneo presupposto che mantengano tra loro un rapporto di 1:1, ovvero che a un pixel dell’immagine corrisponda un dot della stampante. Una foto digitale a colori è composta da un insieme pixel, ognuno dei quali è descritto dalla terna di valori Rgb. Ogni singolo elemento può assumere un valore compreso nell’intervallo tra R=0, G=0, B=0 (nero profondo) e R=255, G=255, B=255 (bianco puro), ovvero una tra 16,7 milioni di sfumature diverse.
Per riprodurre su carta ciascun pixel, la stampante utilizza un numero limitato di tinte base e genera una specifica sfumatura di colore depositando sul foglio migliaia di punti, distribuiti anche in modo irregolare, che concorrono alla formazione di un fittissimo reticolo. Livello dei dettagli, passaggi delle sfumature e gamma cromatica delle immagini sono pertanto influenzati dalla densità della griglia, dalla dimensioni dei singoli punti, dalla precisione di disposizione sulla carta e dalla disponibilità di colori base per generarli.
Le moderne inkjet fotografiche sono in grado di generare stampe di elevata qualità partendo da immagini digitali con una densità lineare compresa tra 200 e 300 pixel per pollice; alla corretta distanza di visione (circa 50 cm per un A4) i singoli dot prodotti dalla stampante saranno pressoché indistinguibili a occhio nudo, facendo apparire l’immagine come a tono continuo. (…)
Trovate l’articolo completo su PC Professionale di ottobre 2015