Video, immagini, musica: siamo letteralmente circondati da file multimediali di ogni tipo. Acquistati o scaricati dalla rete – o anche autoprodotti con i dispositivi più disparati (fotocamere, camcorder, action cam, smartphone e tablet) – ciascuno di noi ha a disposizione una quantità enorme di dati, che è sempre più complesso e costoso organizzare e gestire, soprattutto nella fruizione in ambito domestico. Se fino a poco fa esistevano alcune soluzioni preconfezionate adatte a rendere disponibili tali contenuti in maniera rapida sulla propria Tv (una su tutte il Western Digital Tv, punto di riferimento del settore), nel tempo le funzioni ottenibili con sistemi di questo tipo non sono cresciute al passo con i contenuti.
di Davide Piumetti
Nel seguito vedremo come, con una spesa contenuta e un minimo di applicazione, sia possibile utilizzare uno dei prodotti più gettonati del momento, il Raspberry Pi, per creare un centro multimediale domestico altamente personalizzato e flessibile, con un supporto eccezionale da parte del produttore e della comunità di sviluppatori tale da renderlo, ad oggi, indiscutibilmente il miglior media center in termini di rapporto prezzo/capacità .
Un qualche tipo di frutta
Iniziamo dal grande protagonista hardware di queste pagine, il Raspberry Pi. Giunto ora alla versione 2 (Raspberry Pi2), questa piccola scheda è giunta sul mercato per la prima volta nel 2012, dopo una fase di progetto e sviluppo durata qualche anno. Il Raspberry Pi fu concepito come SoB (System On Board), ovvero come sistema completo su singola scheda elettronica e dedicato inizialmente per l’insegnamento dell’informatica e lo studio scolastico. Lo sviluppo è portato avanti dalla Raspberry Pi Foundation (che è a tutti gli effetti una fondazione di beneficienza con lo scopo di promuovere l’informatica nelle scuole), grazie alla quale il piccolo dispositivo riesce a essere proposto a un costo irrisorio per le potenzialità che offre, sia didattiche sia in termini di utilizzo domestico, anche avanzato. Il progetto di basa sul concetto di un sistema completo, dotato di processore e memoria in grado di pilotare attivamente alcune uscite elettriche o interpretarne i valori in ingresso.
Dal punto di vista concettuale quello che gli ideatori del prodotto volevano fare era una replica economica di Arduino con alcune funzioni avanzate. Il sistema sarebbe stato in grado di comprendere un linguaggio di programmazione più raffinato e, grazie ad alcuni accessori, interfacciarsi nativamente anche con immagini e suoni. L’utilizzo reale ha superato di gran lunga le aspettative dei produttori, andando a occupare una nicchia prima inesistente e regalando al mercato uno dei migliori prodotti elettronici degli ultimi anni. Cinque i modelli prodotti finora: le versioni A, A+, B e B+ (che appartengono alle stessa generazione architetturale) e la nuova Pi2, vera evoluzione del prodotto dal punto di vista tecnico. I primi quattro modelli, ad oggi diffusissimi, si basano su un SoC Broadcom BCM2835, dotato di una Cpu ARM11 a 700 MHz e una Gpu VideoCore IV, oltre che 256 Mbyte (modelli A) o 512 Mbyte (modelli B) di memoria. Le versioni + si differenziano invece per la presenza di un numero maggiore di porte Usb o per l’adozione di schede di memoria nel formato microSd anziché Sd standard. Come già accennato il dispositivo nasce non tanto a scopo di lucro ma con finalità prettamente didattiche. Lo sviluppo è portato avanti dalla fondazione da cui il prodotto prende il nome (Raspberry Pi Foundation) che si pone come missione quella di “promuovere lo studio dell’informatica e di argomenti a essa legati, soprattutto a livello scolastico con lo scopo di riportare uno spirito di divertimento nello studio e apprendimento del computer”.
I primi prototipi si basavano nel 2006 su microcontrollori Atmel ATmega644, modelli estremamente diffusi nel mercato hobbistico, con schemi e diagrammi dei circuiti offerti come download libero dalla fondazione, che sperava di incoraggiare in questo modo una condivisione delle idee per ottenere un progetto migliore. Insegnanti, personalità di spicco dell’informatica e grandi appassionati ed esperti vennero consultati per proporre il miglior prodotto possibile in grado di incoraggiare bambini e ragazzi a costruire qualcosa di nuovo usando una solida base dalle grandi potenzialità . Dopo vari prototipi arrivò nel 2011 la prima versione semidefinitiva del prodotto, il primo modello di prova aveva una forma diversa dall’attuale e sembrava una semplice scheda Usb con una porta Hdmi dal lato opposto al connettore Usb. Nell’autunno dello stesso anno si arrivò alla versione beta, funzionalmente e strutturalmente identica a quello che poi sarebbe diventato il modello B. In questo periodo fu scelto il logo aziendale tra numerose proposte giunte direttamente dai membri della comunità . A differenza di quanto si crede comunemente, il logo – lo stesso che compare oggi su tutti i prodotti – non è tanto un lampone (in inglese raspberry), quanto la rappresentazione stilizzata di una buckyball, ovvero una struttura sferica realizzata con soli atomi di carbonio, nota in genere con il nome di fullerene. Terminato il 2011 e le ultime sperimentazioni, il 2012 è stato l’anno del debutto ufficiale del Raspberry Pi attraverso alcuni distributori specializzati a livello globale nel commercio di componenti elettronici.
Viste le premesse della fondazione e l’intenzione di rendere il prodotto adatto a un uso scolastico il prezzo è stato mantenuto il più basso possibile, rendendolo disponibile a circa 30 euro (20 euro per il modello A, non dotato di connessione Ethernet). Per la prima volta nella storia per una cifra così bassa è stato possibile acquistare un vero e proprio computer in grado di funzionare con distribuzioni Linux e con una miriade di altri software che la comunità ha prontamente sviluppato, realizzando nella pratica la missione aziendale della fondazione Raspberry. (…)
Trovate l’articolo completo su PC Professionale di giugno 2015