Una storia lunga otto generazioni. Sono passati quarantuno anni, un’eternità dal punto di vista tecnologico, dal giorno in cui fu lanciata sul mercato la prima console domestica per videogiochi, il Magnavox Odyssey. In questo lasso di tempo diverse sono le case produttrici che si sono alternate in questo mercato: alcune sono ormai scomparse, altre hanno attraversato momenti di crisi, altre ancora hanno dovuto abbandonare il settore dell’hardware per concentrarsi esclusivamente su quello software. Produrre una console, infatti, richiede ormai non solo un determinato know-how, ma anche ingenti risorse per finanziare un investimento che rischia di diventare remunerativo solo diversi anni dopo il lancio. Progettato da Ralph Baer, un ingegnere tedesco naturalizzato statunitense, l’Odyssey fu messo in vendita nell’agosto del 1972 e divenne il prototipo cui si ispirano tutti i sistemi basati sul videogioco Pong, una simulazione di Ping Pong dalla grafica spartana in bianco e nero che ispirò anche il fondatore di Atari, Nolan Bushnell per creare l’omonimo coin-op.
di Massimo Nicora
Il primo vero salto di qualità di ebbe però nel 1977 con l’avvento dell’Atari 2600, una console che utilizzava delle apposite cartucce come supporto di memorizzazione per i videogiochi. La console, a differenza di Odyssey, fu un vero e proprio successo commerciale vendendo 30 milioni di unità . Suo anche il merito di aver portato nelle case la prima versione domestica di Pac-Man, uno dei videogiochi più venduti della storia con le sue 7 milioni di copie.
Seguendo l’esempio di Atari anche altre aziende decisero di entrare nel settore dei giochi elettronici. Tra questo ci fu la Mattel, fino ad allora conosciuta solo come produttore di giocattoli, che nel 1980 lanciò l’Intellivision. La console fu subito supportata da un buon parco giochi e presentò alcune interessanti novità come il joypad caratterizzato da un tastierino numerico e alcune innovative periferiche come l’IntelliVoice, un rudimentale dispositivo per la sintesi vocale. Una filosofia di base seguita dalla Coleco che due anni dopo, nel 1982, lanciò il ColecoVision. Esteticamente simile all’Intellivision, di cui riproponeva il joypad con tastierino numerico, la console della Coleco, distribuita in Europa dalla CBS, era caratterizzata da una grafica allora impressionante, con tanto di videogiochi derivati direttamente dai coin-op come Zaxxon e Donkey Kong e un buon ventaglio di periferiche dedicate tra cui spiccavano volante, cambio e pedaliera da utilizzare con il gioco di guida Turbo, collegabili all’unità centrale tramite un’apposita porta di espansione.
A metà degli anni ottanta iniziò quella che potremmo definire la prima vera console war dell’epoca 8-bit. Da un lato Nintendo con il NES che, grazie al suo successo di vendite (oltre 60 milioni di unità ) e a titoli come Super Mario Bros. e The Legend of Zelda seppe risollevare l’industria dei videogiochi dalla crisi che la colpì nel 1983. Dall’altra parte quella che sarà la sua rivale per diversi anni, Sega, che con Master System cercò di contrastare il successo della grande N. Sebbene il Master System fosse più potente della macchina rivale, fu Nintendo a vincere questo primo confronto diretto.
Sega, però, non si diede per vinta lanciando nel 1988 la sua console a 16-bit, il Mega Drive. Supportata da una buona campagna pubblicitaria e dalla collaborazione di diversi sviluppatori, la nuova console Sega riuscì anche a superare il NES nelle vendite del Natale 1990. Uno smacco a cui la casa di Kyoto riuscì a rispondere solo nell’estate del 1991 con il lancio dello SNES per poi essere nuovamente messa in difficoltà dall’avvento del Sega Mega CD, un’evoluzione del Mega Drive basato non più sulla classica cartuccia, ma sul supporto ottico. Una lotta senza esclusione di colpi che ebbe il suo apice nella pubblicazione di Super Mario World e Sonic the Hedgehog, due platform tanto diversi tra di loro per filosofia e scelte di gameplay, quanto simili nel grande successo di pubblico ottenuto. Alla fine, però, fu ancora Nintendo a spuntarla con 49 milioni di unità vendute contro le 41,9 della rivale.
Un successo eclatante che non fu scalfito nemmeno dal potentissimo (e costosissimo) Neo Geo della SNK, una sorta di versione casalinga delle schede da sala giochi con cartucce intercambiabili e un comodo joypad con levetta e 4 pulsanti perfetto per i picchiaduro (come Fatal Fury, Art of Fighting, ecc.) che proprio su questa console trovarono la loro piattaforma ideale.
L’avvento della quarta generazione fu segnato dall’insuccesso commerciale dell’Atari Jaguar, difficile da programmare e con un parco titoli insoddisfacente, sia dal punto di vista qualitativo, sia da quello quantitativo. Il colpo di grazia ad Atari fu dato dall’avvento del Sega Saturn che ebbe comunque una nascita alquanto travagliata. Gli ingegneri di Sega, infatti, furono costretti a rivedere completamente l’hardware ibrido della console, pensata soprattutto per i giochi in 2D, ma comunque in grado di convertire i titoli 3D da sala giochi, quando furono rese note le specifiche di PlayStation, la console con cui Sony si apprestava a debuttare nel mercato dei videogiochi. PlayStation, infatti, era nativamente dedicata al 3D e presentava un livello grafico ai tempi senza pari che ne garantì poi il successo commerciale con oltre 100 milioni di unità vendute. Un successo che nemmeno Nintendo riuscì a scalfire con la sua nuova console, il Nintendo 64, una macchina eccellente da molti punti di vista e con alcuni capolavori assoluti come Super Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time, ma ancora legata al supporto fisico delle cartucce e non al più capiente e performante Cd. (…)
Estratto dell’articolo pubblicato sul numero 269 di PC Professionale