Anche Apple è entrata nel mirino di quanti difendono la privacy dei dati personali per i milioni di persone che affidano le loro ricerche ai dispositivi mobili. In particolare al produttore dell’iPad e dell’iPhone è stato chiesto di fornire maggiori dettagli su come vengono gestiti i dati creati dagli utenti quando usano Siri (il software di ricerca basato sul riconoscimento vocale delle parole) e Dictation, due servizi introdotti nel 2011 e oggi parte integrante del sistema operativo iOS. Quanto tempo Apple conserva tali dati e come funzionano queste tecnologie?
Oggi Apple ha fornito una risposta, dichiarando di conservare i dati degli utenti su Siri per due anni, e spiegando anche che quando un utente avvia una ricerca con Siri, tutti gli input vocali vengono inviati ai server Apple dove vengono processati e tradotti in una serie di risultati da mostrare poi su iPhone. Per rendere anonima la ricerca Apple associa a ogni input vocale un numero casuale, e i dati inviati non contengono alcun riferimento allo user id di Apple o all’indirizzo email e numero di cellulare dell’utente.
Passati sei mesi, spiega Apple, i dati vengono scissi dal numero casuale e in genere i file vengono conservati per altri 18 mesi, esattamente come fa anche Google.
Il problema però, fanno notare alcuni blog tecnologici, nel riportare la notizia, non è tanto per quanto tempo Apple trattiene i file o quali tecniche usa per renderli anonimi, quanto il fatto che il contenuto delle ricerche effettuate con Siri resta per sempre registrato sui server Apple e questo comporta un problema di sicurezza enorme per le comunicazioni aziendali. Non è un caso se IBM l’anno scorso ha disabilitato Siri dalle sue reti aziendali adducendo come motivo proprio il fatto che non poteva avere certezza che “l’assistente virtuale tenesse la bocca chiusa”.
Segreti industriali o informazioni finanziarie riservate rischiano di restare scolpiti nella pietra per sempre, nella memoria dei server Apple o peggio di finire anticipatamente sulla bocca di tutti.