Non bastasse l’accusa del governo statunitense per la violazione delle leggi in difesa della concorrenza, Google deve ora fare i conti con una nuova iniziativa legale dal potenziale altamente distruttivo. Questa volta si tratta di una class action, e coinvolge il presunto regime di sorveglianza “segreta” messo in atto da Mountain View tramite l’OS mobile Android.
Stando alla causa intentata da Joseph Taylor e altri, il sistema operativo mobile comunica con i server di Google in maniera regolare e continuata, e tale comunicazione sfugge completamente al controllo dell’utente. La corporation dell’advertising consumerebbe, senza autorizzazione, una porzione del piano dati su rete cellulare, incurante del fatto che lo smartphone sia connesso a una rete Wi-Fi o meno.
Google sarebbe quindi responsabile del “furto” della proprietà dell’utente, ovvero i dati cellulari di cui sopra, e le comunicazioni avrebbero il solo scopo di portare un beneficio finanziario all’azienda. Secondo i test, uno smartphone Android nuovo con un account Google appena registrato trasferisce quasi 9 gigabyte di dati al giorno anche senza alcuna attività da parte dell’utente. In un mese di utilizzo attivo, i server di Google raccolgono 350MB di dati (11,6MB al giorno), ovvero il doppio dei dati raccolti da Apple sugli iPhone.
L’ignoto traffico di dati della sorveglianza permanente di Google potrebbe avere come conseguenza la violazione della privacy dell’utente, ma la class action si concentra specificamente sull’uso non consentito dei dati cellulari con relativo esborso economico non voluto.
Secondo l’accusa, i dati raccolti illegalmente verrebbero impiegati per foraggiare il business dell’advertising di Mountain View, permettendo l’identificazione univoca degli utenti e la generazione di “impressioni” che verranno poi compensate dalle società di advertising. Un modo, per Google, di generare ricavi anche se gli ad non vengono mai visualizzati o consultati dall’utente.