Non si ferma la polemica sullo stop del governo agli investimenti sulla banda larga. Dopo la Confindustria che i giorni scorsi aveva ricordato la strategicità dell’Internet veloce per lo sviluppo delle imprese e dei posti di lavoro (quante attività imprenditoriali e start-up non avrebbero visto la luce se non ci fosse stata un’infrastruttura di rete a banda larga sottostante) ora scende in campo l’Associazione Anti Digital Divide.
Oggi in una nota l’Associazione definisce miope la decisione del governo di congelare lo sviluppo della banda larga e si chiede che fine abbiano fatto le famose tre I: Internet, Impresa, Inglese, gli obiettivi ritenuti strategici dal governo per la crescita del Paese.
Mentre le altre nazioni europee investono in collegamenti a 50/100 Mbps e sono già passate alla fase di successiva di allestimento di una next generation network in fibra ottica, l’Italia fatica ad approvare uno stanziamento che avrebbe consentito di garantire a tutti i cittadini un collegamento a 2 Mbps.
Le stesse imprese hanno chiesto maggiori investimenti nella banda larga, un servizio indispensabile per garantire la competitività .
Ma ciò che preoccupa maggiormente l’associazione è la proposta alternativa giunta dal ministero dell’economia che ha detto che “le risorse mancanti potrebbero arrivare dalla Cassa Depositi e Prestiti o da altri soggetti, sotto forma di anticipo in vista dello sblocco dei fondi, e l’investimento verrebbe remunerato attraverso un ritocco del canone che sarà deciso dall’Authority”.
Insomma se così fosse, la banda larga se la pagherebbero i cittadini, facendo fronte a un ulteriore aumento del canone telefonico. E su questo AntiDigital Divide non ci sta proprio.
“Ricordiamo – dice l’Associazione – che recentemente sia il canone telefonico sia Adsl, unbundling, sono aumentati, nonostante il prezzo dell’Adsl in Italia fosse già alto rispetto agli altri paesi e il rapporto prezzo qualità -prestazioni tra i peggiori d’Europa. I 4/5 miliardi di euro annui che Telecom Italia percepisce dal solo canone telefonico e che giustifica con la necessità di ammodernare e manutenere la rete, come sono stati spesi in questi anni? Forse in stock option e stipendi ai manager, tra i più alti al mondo e per ripianare i vari acquisti di Telecom a debito?”
In un periodo di crisi economica in cui le sottoscrizioni di nuovi abbonamenti adsl probabilmente subiranno un calo, aumentare il canone, vorrebbe dire danneggiare ancora di più lo sviluppo della banda larga.
La rete – conclude ADD – sta assorbendo sempre più pubblicità e pubblico da TV e giornali, forse a qualcuno questo non va bene e si tenta di bloccare o rallentare il suo sviluppo.
Al di là delle polemiche l’Associazione fa proposte ben precise:
• Separazione societaria o funzionale di Telecom Italia, in rete e servizi. Creare una società indipendente e autonoma che si occupi della rete, con l’obiettivo primario di abbattere il digital divide, con all’interno, AGCOM, (l’Authority delle Comunicazioni), le associazioni in difesa degli utenti, operatori, cassa depositi e prestiti, nel cui consiglio direttivo Telecom Italia sia in minoranza, come avviene in Inghilterra.
• Apertura del servizio universale a tutti gli operatori, non solo a Telecom, con inserimento dell’Adsl come diritto. E sull’inserimento della Adsl nel Servizio Universale ADD sta preparando uno specifico documento.
Infine l’Associazione ricorda al Governo di andarsi a leggere il Piano Caio nonché le recenti dichiarazioni di Confindustria in materia: “Sappiamo che ogni euro investito nella banda larga ne produce almeno due di aumento di attività economica e di Pil. Il Paese non può rimandare questi interventi”.