La contesa tra Oracle e Google per quanto riguarda l’uso delle API Java, non è destinata a concludersi particolarmente in fretta: la prima, infatti, ha manifestato a più riprese la sua determinazione contro Mountain View, agendo su più fronti per cercare di mettere sempre più pressione sulla società di Sundar Pichai, alle prese da una parte con il ricorso presentato da Oracle e, dall’altra, dall’attività di alcuni gruppi di ricerca sostenuti dalla stessa.
Tutta la questione è nata dal momento in cui la società di Mountain View ha deciso di adoperare le API di Java per realizzare il suo famoso sistema operativo mobile, Android, un’operazione che a detta di Oracle è avvenuta in maniera scorretta, configurando una violazione del copyright – come sostiene la società di Redwood City – la quale ne detiene i diritti in esclusiva attraverso l’acquisizione di Sun.
Dal canto suo, la società di Sundar Pichai continua a sostenere che l’uso delle API Java rientri nelle casistiche di fair use, in una contesa legale che appunto si è trascinata per la bellezza di sei anni (tanto è durato il procedimento) conclusosi a favore di Big G proprio a maggio e, quindi, con un ricorso di Oracle rigettato nel mese di giugno in quanto ritenuto infondato, una decisione che non è piaciuta al colosso dei database.
Oracle ha quindi promosso un nuovo ricorso, stavolta indicando come Google non abbia fornito informazioni importanti durante il procedimento: con l’uso delle API Java su Chrome OS, infatti, Big G entrerebbe in competizione con Java Standard Edition presente su laptop e desktop.
Del resto, la società di Redwood City ha anche sostenuto la creazione del Google Transparency Project, un gruppo che mira a mettere in evidenza l’attività di lobbying svolta da Mountain View sulla scena politica statunitense.