Di nuovo Anonymous, di nuovo un’azione dimostrativa, di nuovo confusione sui (e dai) mezzi di informazione. Gli hacker all’attacco del potere… “Basta avere un minimo di conoscenze tecniche e storiche per sapere che gli hacktivist con l’hacking c’entra poco o nulla. Certo, non si può escludere che qualcuno dei componenti di questo gruppo abbia conoscenze più sofisticate del semplice utente. Ma questo non trasforma un gruppo di “attivisti” pseudopolitici in hacker. La passione di scoprire come funzionano le cose non ha nulla a che vedere con un (rispettabilissimo) uso politico di Internet. E non è manco lontana parente di attacchi illegali resi possibili da un software (LOIC) utilizzabile da chiunque e che solo superficialmente possono essere considerati come espressione di un legittimo dissenso.
In realtà , come ha scritto The Economist in un lucidissimo articolo pubblicato il 16 dicembre 2010, “in una società libera, il fondamento etico della pacifica violazione della legge deve essere la consapevolezza dell’individuo di subire le conseguenze del proprio gesto, difendendosi davanti ai giudici e combattendo per cambiare una legge. I manifestanti, quindi, meritano protezione solo se sono identificabili … i manifestanti nel ciberspazio, al contrario, sono di solito anonimi e non rintracciabili. La natura furtiva e senza autori degli attacchi DDOS non li rende meritevoli di protezione: gli ignoti autori di questi attacchi sono piuttosto degli ultras codardi, altro che eroi.
Questo vale anche per coloro che attaccano Wikileaks – un argomento che quei politici americani che invocano rappresaglie contro Julian Assange dovrebbero tenere ben presente. Squadracce e vigilante, online e offline, nella migliore delle ipotesi “esportano” soltanto giustizia sommaria.”
Se avete l’impressione di avere già sentito questo discorso avete ragione: è una citazione di quello che scrissi nel 2011 sul numero 241 di PC Professionale e, a quanto, pare, si tratta di considerazioni ancora del tutto valide.
Dunque, l’attacco di Hacktivist alle mailbox dei parlamentari del M5S è l’ennesima variazione sul tema “democrazia diretta” che, grazie alla rete, è diventata un’opzione concreta invece di rimanere confinata nelle pagine dei manuali di diritto costituzionale, e ripropone ancora una volta il tema degli illeciti (penali, in questo caso) come strumento di attività politica. Cominciamo dal primo punto. Per secoli, in uno stato sovrano, l’unica forma realmente praticabile di democrazia è stata quella “indiretta”, cioè quella nella quale i cittadini affidano ai parlamentari il compito di fare le leggi. Il perché è evidente: senza un sistema per organizzare e gestire il consenso di ciascuno sarebbe stato impossibile far funzionare la macchina dello Stato. Immaginate di dover chiedere, per ogni decisione, il parere di ciascun cittadino via telefono o telegramma… sarebbe semplicemente impossibile.
Poi è arrivata la rete e, improvvisamente, ci siamo trovati nelle condizioni di poter far sentire la nostra voce, in modo organizzato e disintermediato, parlando direttamente al potere e auto-organizzandosi per portare la “volontà popolare” all’interno delle stanze del potere. Questa, in sintesi, è l’operazione organizzata dal M5S. Senza volerla “buttare in politica”, però, se guardiamo ai fatti ci rendiamo conto che l’uso della rete non ha consentito la realizzazione di una vera democrazia diretta, ma ha solo facilitato il collegamento fra la “base” di un movimento e i suoi rappresentanti. In altri termini, ha reso possibile uno stato di consultazione permanente fra tutti gli appartenenti al movimento. In due parole: vivono connessi.
L’avere rivendicato il primato della partecipazione diretta su quella mediata dai partiti ha, però, la controindicazione che chiunque può sentirsi in diritto di adottare lo stesso criterio. E dunque, saltate le regole, sempre in nome della democrazia diretta a qualcuno può venire in mente di esercitare forme di pressione sui parlamentari ad esempio “bucandogli” le mailbox. Cioè commettendo un reato. In termini strettamente giuridici la questione è abbastanza complessa perché – come nel caso delle lotte sindacali degli anni ’70 del secolo scorso di cui parlavo nell’articolo di PC Professionale – azioni come il blocco stradale da parte dei manifestanti che pure erano reato in certi casi non sono state considerate punibili. Ma non è il caso delle azioni compiute da Anonymous e dagli hacktivist che, per quanto eventualmente animate da buone intenzioni sono e rimangono illeciti penali.