Il social network più inaffidabile del millennio comunica l’ennesima “breccia” nella riservatezza dei dati degli utenti. Dati che sarebbero dovuto rimanere lontani da 100 sviluppatori non autorizzati.
Un centinaio di “partner” commerciali di Facebook ha avuto accesso a informazioni degli utenti che non avrebbe dovuto poter utilizzare: la corporation che ha già pagato miliardi (e 1 milione scarso in Italia) per lo scandalo Cambridge Analytica, uno dei colossi di rete più incapaci di rispettare la privacy dei suoi utenti ammette di aver fallito ancora una volta in quello che dovrebbe essere il suo compito più importante.
Secondo quanto comunicato ufficialmente da Facebook stessa, questi 100 programmatori hanno avuto accesso a permessi “extra” nell’utilizzo della API per la gestione dei Gruppi: in teoria le app di terze parti avrebbero potuto visionare solo informazioni limitate sui membri dei gruppi, ma in realtà la API di cui sopra permetteva anche di consultare dati sensibili come nomi, immagini dei profili e altro ancora.
Tali permessi extra sono stati rimossi da Facebook già nell’aprile nel 2018, ma i non meglio precisati 100 partner indicati nel comunicato hanno continuato ad avere un accesso privilegiato rispetto a chiunque altro. Secondo le indagini di Facebook, 11 di questi programmatori hanno effettivamente sfruttato i permessi extra per consultare le informazioni private dei membri dei gruppi negli ultimi 60 giorni.
Secondo le rassicurazioni di Facebook non esistono prove che le informazioni private siano state utilizzate in maniera non conforme alle regole o al rispetto della privacy degli utenti. Tali rassicurazioni, è bene ricordarlo una volta di più, arrivano da un’azienda che ha permesso a una società di consulenza inglese (la famigerata Cambridge Analytica) di raccogliere, e usare senza consenso a scopo di propaganda politica, i dati dei profili di 87 milioni di utenti.