La valutazione dell’attendibilità dei nomi si è rivelata complessa per i supervisori del servizio social.
A fine estate Google ha riconosciuto di aver commesso un errore per quanto riguarda le regole di utilizzo dei nomi sugli account di Google+.
Fin dal lancio nel 2011, Google ha imposto agli utenti l’utilizzo dell’identità reale. Le motivazioni sono facilmente intuibili: la forza di un social network come Facebook risiede proprio nella capacità di sfruttare l’identità anagrafica per la creazione di una rete globale. Google ha voluto percorrere la medesima strada.
Questa rigida scelta non è stata però accolta positivamente da tutti: qualcuno ha provato a utilizzare uno pseudonimo ma si è visto chiudere l’account e in diversi casi abbiamo assistito a clamorosi sbagli da parte di Google nel valutare l’attendibilità di un nome.
Per la verità bisogna ammettere che Google non si è dimostrato troppo rigido nella scelta dei nomi, anche perché sarebbe davvero poco verosimile l’esistenza di un sistema in grado di rilevare le identità anagrafiche. Un sistema automatizzato scandagliava i dati e sulla base di alcuni parametri rilevava i possibili falsi; in presenza di un falso positivo, Google richiedeva all’utente l’invio della copia di un documento.
Nel 2012 Google+ ha fatto un apparente passo indietro, introducendo la possibilità di inserire un soprannome, purtroppo non nell’intento di difendere la privacy degli iscritti, quanto per rendere riconoscibili le persone note maggiormente sotto il proprio nickname.
Soltanto lo scorso luglio Google ha fatto il passo indietro decisivo, pubblicando un post sul profilo ufficiale del social network: «Tre anni fa, quando abbiamo lanciato Google+, abbiamo inserito molte restrizioni per i nomi dei profili. Questo aspetto ha contribuito a creare una comunità fatta di persone reali, ma ha anche escluso le persone che avrebbero voluto farne parte senza mostrare il proprio nome anagrafico. (…) Da tempo ci state chiedendo questo cambiamento. Le nostre condizioni riguardo ai nomi sono state poco chiare e hanno reso l’esperienza inutilmente difficile per alcuni utenti. Ci scusiamo e speriamo che il cambiamento odierno rappresenti un passo avanti verso la realizzazione di un Google+ più accogliente e inclusivo».
Probabilmente parte di questa inversione di rotta è dovuta al cambio dei vertici del team: la storica mente di Google+, Vic Gundotra, ha lasciato la società lo scorso aprile.
Pur comprendendone gli intenti, per Google potrebbe essere stato un errore imporre agli iscritti una specifica modalità d’uso del social network. Quando Facebook uscì dal circuito universitario per espandersi al grande pubblico, la maggior parte delle persone scelse spontaneamente di utilizzare il proprio nome per farsi riconoscere.
D’altra parte oggi Google+ è un social network tecnicamente interessante, ma carico di spam e autopromozione: aprire oggi agli pseudonimi potrebbe rappresentare il definitivo colpo di grazia per un prodotto che con tutta probabilità si è affacciato troppo tardi sul mercato.
Barbara Ripepi