E’ destinato sicuramente a far discutere l’articolo di Tim Berners-Lee pubblicato su Scientific
American, il cui titolo “Long Live The Web, A Call for Continued open Standards and Neutrality” (Lunga vita al web, un appello per gli standard e la net neutrality) suona un po’ come un grido d’allarme contro il carattere sempre più chiuso e settario del web nell’era 2.0.
Il ragionamento del fondatore del World Wide Web è che lo spirito egualitario del web di condivisione universale delle informazioni con chiunque, in ogni parte del mondo, sia messo a rischio proprio da quelle community, come i social network, che invece di promuovere la libera comunicazione tra gli individui, li rinchiudono in tanti “walled garden” separando le informazioni che essi postano dal resto dei dati che circolano su Internet. Se a ciò si aggiunge il tentativo da parte degli internet provider di boicottare la net neutrality, creando siti di seria A e di serie B in termini di velocità di accesso, e i controlli che i governi di qualsiasi estrazione, cercano di imprimere a Internet, il rischio è che il web si frammenti prima o poi in una serie di isole separate, perdendo quella connotazione globale e universale che l’ha fatto crescere e diventare lo strumento oggi in uso nelle nostre vite quotidiane.
Anche lo sviluppo dei vari marketplace applicativi, alla Apple Store, rappresenta un sistema chiuso che allontana le persone dal web rinchiudendole ancora una volta in quelli che Tim Berners-Lee chiama dei “silos di dati”. E’ quello che fa Facebook quando raccoglie i dati che noi mettiamo nei profili, le nostre foto, le nostre preferenze, assemblando queste informazioni in database che poi vengono condivisi con i vari partner di Facebook, ma che di fatto non escono di lì. E’ quello che fa Apple con iTunes rendendo possibile l’accesso ai file solo dall’omonimo programma, e impedendo alle persone di linkare le informazioni contenute in iTunes verso l’esterno. E’ quanto stanno facendo gli editori con le varie applicazioni rese disponibili per iPad e iPhone, ancora una volta separate dal web.
E questo succede perché, spiega Berners-Lee ogni singolo pezzo di informazione non è basata sull’uso di quei tre semplici protocolli standard che sono il fondamento del web: HTML (quando scrivo una pagina web) URI, ovvero Universal Resource Locator, il sistema di assegnazione dei nomi a dominio e l’Http, il protocollo che usiamo per visualizzare su Internet la pagina web.
A mano a mano che i social network alla Facebook crescono, e con essi l’ammontare dei vari silos di contenuti, il web si frammenta sempre più e noi perdiamo la possibilità di avere uno spazio di informazione universale. Se società come Amazon.com sono potute crescere e diventare quello che sono oggi, dice Berners-Lee, è stato anche perché hanno avuto libero accesso gratuito ai protocolli e standard aperti con cui opera il Web, senza dover chiedere il permesso a nessuno o pagare alcunché. E’ questa la ricchezza del web che permette di avere una Wikipedia accanto al blog di uno sconosciuto o di un teenager.
Tim Berners-Lee: salvate il web dai social network
E’ destinato sicuramente a far discutere l’articolo di Tim Berners-Lee pubblicato su Scientific American, il cui titolo “Long Live The […]