Dopo mesi di indagini, indiscrezioni e riunioni riservate, la tanto vociferata causa antitrust del governo statunitense contro Google è stata finalmente presentata in maniera ufficiale. Il Dipartimento di Giustizia (DoJ) USA accusa Mountain View di violazione delle leggi antitrust, promettendo altresì di ripristinare le regole della concorrenza nei mercati del search telematico e dell’advertising.
La bomba insomma è esplora, e ora Google dovrà difendersi anche sul fronte interno oltre che su quello europeo. Secondo le accuse del DoJ, la sussidiaria di Alphabet si comporterebbe come il “controllore di Internet” per miliardi di persone e di pubblicitari, mettendo a tacere la concorrenza attraverso una serie di tattiche del tutto illegali.
L’Attorney General William Barr ha presentato le accuse contro Google parlando di un nuovo “caso monumentale” per il Dipartimento da lui guidato e per il popolo americano, una causa pensata per “colpire al cuore” il controllo monopolistico detenuto da Mountain View sulle ricerche, la pubblicità, le piccole imprese e più in generale la vita digitale delle persone. Negli USA e ovviamente nel resto del mondo.
Il 90% e oltre di market share detenuto da Google nel mercato del search online è illegale, suggerisce Barr, e sarebbe stato raggiunto in totale spregio dello storico Sherman Act statunitense. Come già AT&T nel 1974 e Microsoft nel 1998, Google sarà ora chiamata alla sbarra per rispondere delle accuse di violazione delle leggi antitrust in spregio della concorrenza, la competitività e la capacità del mercato di sviluppare soluzioni innovative e davvero alternative allo status quo.
Secondo le accuse del DoJ, Google sarebbe diventato il Padrone assoluto di Internet sfruttando accordi esclusivi che inibiscono la preinstallazione dei servizi della concorrenza (vedi alla voce Android), senza curarsi delle preferenze specifiche degli utenti, forzando Apple a un accordo a lungo termine sull’uso esclusivo del search di Google su Safari, e più in generale usando i profitti derivanti dal suo monopolio per garantire trattamenti preferenziali al suo servizio di ricerca sui dispositivi, i browser Web e altrove.
Il monopolio di Google finanzia se stesso, suggerisce il DoJ, e necessita ormai di un’azione di forza per essere spazzato via – magari con lo scorporo (già ipotizzato) del browser Chrome o dell’advertising dalle altre attività della corporation. Neanche a dirlo Google non è d’accordo, promette battaglia ed evidenzia la possibilità di scelta che hanno gli utenti nell’utilizzo dei servizi della concorrenza. Su Windows 10, suggerisce inoltre la corporation, il motore di ricerca predefinito non è Google ma Bing. Dal punto di vista di Gabriel Weinberg, CEO dell’ottimo search alternativo DuckDuckGo, le pratiche anticompetitive di Google danneggiano le aziende come la sua ma hanno soprattutto un impatto estremamente negativo sulla società e la democrazia nel suo complesso.